Spettri di dolore, nei luoghi e nei tempi che non si abitano più
NARRAZIONI «Senza», di Lanfranco Caminiti per minimum fax, un libro tra il romanzo e il memoir che affronta il lutto. La perdita della compagna di vita implica un’assenza irrimediabile
NARRAZIONI «Senza», di Lanfranco Caminiti per minimum fax, un libro tra il romanzo e il memoir che affronta il lutto. La perdita della compagna di vita implica un’assenza irrimediabile
Si può scrivere del dolore in molti modi ma solo uno richiede, oltre al talento, anche coraggio: quello che non mira a descrivere per esorcizzare o a condividere per superare, ma piuttosto a scavare nella sofferenza fino a raggiungerne il nucleo incandescente per poi attraversarlo. Col rischio di bruciare e la certezza di uscirne comunque ustionati.
È vero sempre ma tanto più quando si tratta di quell’esperienza unica nel catalogo dei dolori umani che è il lutto, perché qui si tratta di trovare le parole per raccontare quel che le parole non possono dire: l’assenza, il vuoto, la mancanza. Una sottrazione che è insieme esterna e interna. L’amputazione emotiva che riflette e amplifica un’intera costellazione di deprivazioni concrete, quotidiane. L’installarsi della morte nel cuore della vita, che stenta pertanto a riconoscersi ancora come tale.
Lanfranco Caminiti è tra i più capaci di padroneggiare quello strumento misterioso che permette di avvicinarsi sempre più all’essenza delle emozioni senza mai riuscire a restituirle perfettamente: la parola. Dimostra qui di possedere anche la tempra necessaria per addentrarsi in un viaggio durissimo per chi scrive e anche per chi legge. Il suo Senza (Minimum Fax, pp. 131, euro 15.00) è forse il libro definitivo sul lutto, non solo nel panorama in apparenza affollato e in realtà scarno della letteratura italiana ma anche varcando i confini. Più duro e impietoso persino de Il mare di John Banville, capolavoro nella esigua bibliografia del lutto.
SULLA PRIMA PAGINA di copertina Senza è indicato come «romanzo». Di romanzesco però non ha quasi nulla. È un memoir, il racconto fedele e particolareggiato della vita, o meglio della sopravvivenza del protagonista, lo stesso autore, alla morte della moglie Paola Albanese, dopo un matrimonio durato 44 anni. Una vita intera: la vita, senza bisogno di ulteriori attributi. È anche una riflessione profonda e articolata sulla vedovanza, non dissimile dalla grande trilogia sulla deportazione, la vecchiaia e il suicidio di Jean Améry, autore mai citato ma che in tutta evidenza Caminiti deve conoscere bene. Si addentra infatti nelle diverse stanze del lutto percorrendone ogni riposto angolo: il senso di colpa, lo strazio dell’agonia inciso nella memoria, il tentativo di trasformare se stessi nella persona perduta ripetendone i gesti e mimandone le abitudini, il rimpianto per ciò che non ha avuto il tempo di essere, per il futuro sottratto dopo essere stato a lungo immaginato e atteso.
SE OGNI DOLORE INDIVIDUALE è un’esperienza unica, diversa da tutte le altre in superficie identiche, questo è tanto più vero per l’esperienza del lutto, dove non entra in gioco solo il fattore individuale. La perdita di un genitore, anche molto amato, è diversa da quella del coniuge e la vedovanza dopo un matrimonio durato una vita aggredisce in modo diverso, pur se non necessariamente più feroce, da quella che fa seguito a una scomparsa precoce. La vedovanza maschile non è uguale a quella femminile, alla quale è attribuito, forse per eredità di tradizioni antiche, uno status identitario negato al vedovo maschio, che vede così smantellarsi non solo la vita e il senso stesso della propria esistenza ma la stessa identità e di conseguenza anche il rapporto con tutti gli altri.
QUESTA È LA GALLERIA TRISTE di esperienze ed emozioni nella quale l’autore conduce il lettore. Tuttavia quella definizione apparentemente così inadatta, «romanzo», non è del tutto ingannevole. Senza è in effetti anche, pur se a modo proprio, un romanzo. Del romanzo ha la costruzione complessa, la stratificazione meditata, l’architettura non casuale che tiene insieme i vari temi.
Parlando della propria perdita e del proprio «vivere senza», raccontando un vuoto, Caminiti restituisce anche il ritratto di chi quel vuoto riempiva e offre così il quadro vivo, fatto di luci, ombre e mezzi toni, di una donna della nostra generazione e dei suoi tempi. Difficile dire chi sia il vero protagonista di queste pagine: se chi è rimasto o chi è andata. Tra le due vie opposte con cui si può affrontare un lutto, quella «saggia» dell’accettazione e dell’oblio o quella estrema, «dissennata», del ricordo che conserva e lotta per mantenere vivo chi non lo è più Lanfranco Caminiti ha scelto la seconda, o forse non ha potuto evitare di imboccarla.
È quella che implica i rischi e i prezzi più alti. Spinge chi resta a farsi spettro e a rendere fantasmatica la propria esistenza per cedere presenza vitale a chi è scomparso, come capita al protagonista di questo libro nel passaggio più compiutamente romanzesco. Per calarsi in quelle grotte dell’anima e provare a uscirne incolume, riuscendo alla fine a prendere comunque una sorta di commiato, ciascuno ha il proprio scudo. Quello di Caminiti è la capacità di adoperare le parole come strumento per scomporre l’alchimia dei sentimenti e delle emozioni.
IL LIBRO è anche la descrizione di un matrimonio, dei particolari che lo rendono davvero tale, del lessico e dei rituali, senza tacere delle ombre esposte con un raro equilibrio tra pudore e assenza di omissioni. Si tratta però del matrimonio tra due ragazzi di una generazione speciale, quella passata per la rivolta e la galera, per l’illusione di poter costruire subito una realtà diversa non solo nei grandi sogni ma anche nella quotidianità di ogni rapporto.
Indirettamente ma consapevolmente questo libro è anche uno squarcio su cosa sia stata la vita quotidiana, l’anomala normalità, di quella generazione politica ed esistenziale.
Senza è soprattutto un libro sulla morte, sulla sua presenza troneggiante ma dissimulata nella nostra esistenza. Dunque è un libro su quanto c’è di più indicibile in questa epoca: il grande rimosso dei nostri tempi.
Lo scrittore vive oggi in una piccola città del sud, la stessa in cui è morta sua moglie, dove ancora si percepisce l’eco del riconoscimento della morte che segnava le culture che oggi definiremmo arcaiche. Ma sono scampoli e strascichi. La morte è anche lì ciò che va citato sempre e solo come se riguardasse altri e poi pudicamente dimenticato. Non farlo, scrivere e andare nella direzione opposta è già una sfida.
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