Il fuoco dell’ala destra della maggioranza contro il ministro Speranza non si ferma nonostante lo scudo di Draghi e non si fermerà. Intorno al ministro della Salute ha finito per concentrarsi l’inevitabile guerra propagandistica tra le due anime della maggioranza e Salvini non rinuncia al bersaglio grosso. Rimuovere Speranza significherebbe distruggere l’equilibrio continuità-discontinuità tra questo governo e quello precedente, fare del governo Conte e dunque di tutta la maggioranza che lo sosteneva il capro espiatorio dei guai pandemici del Paese. Significherebbe anche collegare la fine della fase più oscura, che tutti in realtà prevedono imminente, a un cambio della guardia alla Salute: risultato psicologicamente e simbolicamente prezioso.

DUNQUE SALVINI non abbassa il tiro. Ieri se l’è presa con il libro scritto in estate, con scarso senso dell’opportunità, dal ministro e mai uscito: «Scrivere che la pandemia è occasione storica per la sinistra è di volgarità e arroganza incommentabili». Il leghista trascina gli azzurri, con Gasparri che si concentra sulla vicenda del report che attestava l’impreparazione italiana e il mancato aggiornamento del piano pandemico, fatto ritirare a quanto sembra da Ranieri Guerra. La vicenda non riguarda direttamente il ministro ma sono le sue dimissioni che Gasparri reclama e su quella strada incontra un’arcinemica, Barbara Lezzi, che annuncia interrogazione sullo stesso caso. Mitraglia anche Renzi, che non chiama direttamente in causa Speranza ma invoca una «commissione d’inchiesta su un anno di errori».

IL COLPO GROSSO PERÒ è un pezzo uscito ieri sul Messaggero, secondo cui a spingere per un allontanamento «volontario» di Speranza sarebbe stato nei giorni scorsi lo stesso Draghi. Da palazzo Chigi smentiscono decisamente. Al ministero della Salute denunciano la manovra di disinformazione, forse lanciata dalla Lega. Da LeU parte una raffica di dichiarazioni esasperate che chiedono di farla finita con «il tiro al bersaglio contro il ministro», secondo la formula usata dalla capogruppo al Senato De Petris. Richiesta che non sarà esaudita perché intorno alla poltrona di Speranza, ultimo baluardo di continuità tra questo governo e quello precedente, si giocano troppe partite politiche che con la lotta alla pandemia c’entrano pochissimo. Quella tra le due anime di una maggioranza che ha incisa nel dna la conflittualità permanente. Quella di Renzi, che non perde di vista l’obiettivo di far saltare l’asse giallorosso e vede nella gestione della pandemia il fronte che si può aggredire più facilmente. Quella tra le diverse anime dei 5S, o degli ex 5S, incluse quelle che mirano su Speranza per colpire Conte.

MA NON CI SONO SOLO interessi politici. Indebolire Speranza, indicato sin dall’inizio della pandemia come alfiere della linea più cauta, è per alcune aree di interesse anche un modo per cercare di imporre un allentamento del rigore. Il miraggio di imporre un anticipo delle riaperture al 19 aprile sembra sfumato, anche se in linea di principio lo stesso ministro, ospite ieri sera di Bruno Vespa, non esclude niente. La data che hanno in mente sia lui che Draghi in realtà è quella del 14 maggio per i ristoranti, ma con qualche allentamento delle maglie già nella prima metà del mese. In particolare la scommessa centrale sarebbe riaprire sin dai primi di maggio tutte le scuole in presenza. Per i ristoranti e i bar, invece, l’ipotesi è di consentire l’apertura serale dal 14, ma solo con prenotazione ed esclusivamente per i tavoli all’aperto. Speranza quasi la annuncia: «Non abbiamo deciso niente ma personalmente la ritengo un’ipotesi convincente». Possibile e anzi probabile, sempre che i dati della pandemia lo consentano, lo slittamento del coprifuoco dalle 22 a mezzanotte.

SALVO SITUAZIONE gravissima sul fronte medico, del resto, le riaperture con protocolli più leggeri sono un obbligo non un’opzione. Il nuovo decreto Sostegni, tra i 40 e i 50 miliardi, garantirà quell’intervento su affitti e spese fisse che ora manca. Ma sarà l’ultimo sforzo consentito dai conti pubblici. Oltre, la sola alternativa alle riaperture sarebbe per moltissimi la chiusura definitiva.