Il mito romantico dell’Anno Mille è ormai tramontato da tempo: sappiamo che le folle trepidanti non attesero la fine del mondo per poi, rinfrancate, rimettersi all’opera con rinnovato vigore. Eppure, non c’è dubbio che lo spartiacque del Mille mantenga il suo potere; per esempio nella periodizzazione corrente ancora in uso; Alto e Basso Medioevo sono separati da quella data, che è puramente una periodizzazione costruita dalla storiografia, e che comunque continua a trasmettere l’idea che ci sia un «prima» e un «dopo», che molto in effetti sia mutato nella società europea con lo scoccare del secondo millennio.

CERTAMENTE, ci sono vicende e fenomeni nuovi rispetto all’epoca precedente: il papato sperimenta una rivoluzione, com’è stata a ragione definita, avviandosi a vivere una fase in larga parte inedita; in Italia le città acquistano una centralità maggiore, che non avevano mai perso del tutto, ma che si rinvigorisce grazie alla conquista di autonomie che definiamo «movimenti comunali»; la stessa vitalità, anzi aggressività, si vede nella prima espansione alla fine dell’XI secolo con la cosiddetta «prima crociata».
C’è un legame fra questi fenomeni? Intravederlo è facile, poiché gli avvenimenti non si svolgono isolatamente, ma quale senso conferire all’intreccio? Ci prova Antonio Musarra con Urbano II e l’Italia delle città. Riforma, crociata e spazi politici alla fine dell’XI secolo (il Mulino, pp. 320, euro 28). Il papato di Urbano II, ossia del pontefice che, come recitavano un tempo i manuali, «bandì la prima crociata», è centrale nel discorso di Musarra, ma questa non è una biografia, anche se alcuni dettagli sulla vita del pontefice sono importanti. Era nato fra il 1035 e il 1040 nel castello di Châtillon – oggi, Châtillon-sur- Marne –, battezzato Eudes, apparteneva a una famiglia di milites dotata di terre ma di modesta importanza; suo padre, Eucherio, era vassallo del conte di Champagne. Studiò presso la scuola della cattedrale di Reims, sotto la guida di Bruno di Colonia, futuro fondatore della Chartreuse e dunque dell’Ordine dei certosini. Si era in un’epoca di grande innovazione anche sotto il profilo della nascita di nuovi Ordini monastici che si sviluppavano dal ramo benedettino, venendo però incontro alle necessità del presente.

UN OTTIMO ESEMPIO viene dalla storia dei cistercensi, ai quali è dedicato l’ottimo volume di Guido Cariboni, Un ordine monastico nel Medioevo (Carocci, pp. 244, euro 22), non soltanto una sintesi, ma anche una rivisitazione di molti luoghi comuni che ne hanno valorizzato solo l’esperienza iniziale, sottovalutandone gli sviluppi. Ma torniamo a Urbano II. Sotto l’influenza del suo maestro, Eudes entrò a Cluny, che all’epoca era il motore della riforma che stava trasformando il papato; il passo successivo fu Roma e nel 1088 l’ascesa al soglio pontificio come Urbano II. In qualità di papa, egli raccoglieva un’eredità difficile, dunque, quella fondata dai suoi predecessori e soprattutto dall’ingombrante Gregorio VII. Musarra ci guida attraverso le fasi principali del suo pontificato, con tre interessi principali: l’azione di Urbano II per recuperare alla fedeltà verso Roma tutti i vescovi della Cristianità, fra i quali però gli italiani avevano un ruolo speciale; la predicazione di una spedizione che diverrà il pellegrinaggio armato fino a Gerusalemme, un progetto che ben si colloca nel progetto universalista papale, inteso come supremazia di Roma sulla Chiesa in tutte le sue componenti, così com’era stata annunciata da Gregorio VII. La nascita delle autonomie cittadine in Italia, ma anche l’alleanza con i normanni italo-meridionali, apre poi la parte del libro dedicata al ruolo di questi protagonisti nell’impresa del Vicino Oriente.

NON BISOGNA LEGGERVI una comunità assoluta di intenti, quanto una serie di fenomeni che finirono per trovare un percorso comune, come spiega Musarra alla fine del libro: «Il punto di vista papale, maggioritario in queste pagine, quello dell’episcopato e quello delle élite cittadine non necessariamente coincidono. Se l’azione riformatrice aveva mostrato d’interessarsi particolarmente al clero, ridefinendone il ruolo e le funzioni, gli appelli urbaniani alla (ri)conquista delle terre cadute sotto gli infedeli si profilavano, invece, come un’occasione di rigenerazione del laicato. Con ciò, l’atteggiamento degli erigendi ceti dirigenti risulta diverso di contesto in contesto. La particolare tradizione marinara che caratterizzava città come Pisa, Genova o Venezia facilitò l’accoglienza del messaggio», sebbene, come mostra il testo, declinando in modi differenti le possibilità che le spedizioni in Oriente offrivano loro. Urbano II e l’Italia delle città non ha quindi la pretesa di fornire una spiegazione alternativa al fenomeno crociato, ma di evidenziarne alcune concatenazioni finora lasciate in ombra dalla storiografia; allo stesso tempo, è un ottimo modello di come si possa innovare anche in un settore dove tanto è stato già scritto.