Spazi intimi e urbani, tra nodi e persistenze
Dalla mostra «Afterimage» (L'Aquila)
Cultura

Spazi intimi e urbani, tra nodi e persistenze

MOSTRE «Afterimage», al Maxxi dell’Aquila fino al 19 febbraio l'esposizione curata da Bartolomeo Pietromarchi e Alessandro Rabottini
Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 23 agosto 2022

Afterimage o immagine residua è un’immagine che continua ad apparire nella propria visione dopo che l’esposizione all’immagine originale è cessata. Afterimage è anche il titolo della corposa e transgenerazionale mostra al Museo Maxxi dell’Aquila, curata da Bartolomeo Pietromarchi e Alessandro Rabottini, metafora della persistenza del passato nel continuum che lo avvicenda al presente e che impone una riflessione sulla malleabilità del tempo. L’Aquila è il luogo emblematico e di raccordo con la memoria identitaria e gli elementi di trasformazione che nel post-sisma, tra rimpianto e riscossa, si sono amalgamati per riscriversi. Uno di questi simboli di «rinascita» è sicuramente il Museo Maxxi, il bellissimo Palazzo Ardinghelli (progettato da Francesco Fontana nel 1700) restaurato raffinatamente dopo il terremoto del 2009 dal Mibact e dal finanziamento del governo russo. Al suo interno si snoda una mostra, costruita intellettualmente sul dinamismo dialogico tra radice identitaria e trasmutazione.

L’INCIPIT è la scultura di Francesco Arena, Masso con gli ultimi 5 giorni (2022), stupefacente quanto Le monde invisible (1954) di René Magritte, realizzata appositamente e collocata provocatoriamente all’esterno, davanti alla soglia del museo, che ostruisce l’accesso e crea una giunzione tra interno ed esterno. Il masso di oltre cinque tonnellate proveniente dall’Etna, dunque di origine vulcanica, è attraversato da un carotaggio nel quale, ogni giorno, il personale del museo inserisce un quotidiano arrotolato, sì da ondivagare tra il tempo geologico della pietra, di per sé trascendente, allo scorrere dell’esistenza e allo stratificarsi delle notizie quotidiane. I giornali sono raccolti in una intercapedine interna al museo (che è anche la parte più antica della muratura del palazzo) e saranno lo strumento di una performance a venire.

La corrispondenza tra spazio architettonico e site-specific è calibrata da Dahn Vo, con l’installazione Untitled del 2022 (della stessa serie che è in mostra alla Collezione Querini Stampalia di Venezia) in cui interpone una leggiadra struttura di legno all’antico camino nobiliare di Palazzo Ardinghelli, all’interno della quale sono incastrate 13 fotografie di fiori selvatici coltivati nel suo giardino accanto allo studio e alla fattoria di Guldenhof, a nord di Berlino e calligrafati coi loro nomi latini dal padre Phung Vo, in una fusion che condensa architettura, natura, cultura e radici familiari. Scenograficamente avviluppante è il site-specific realizzato da Thomas Demand nella Sala della Voliera, composto da Cones (2018) un wallpaper che ricopre l’intero spazio su cui vengono esposte una serie di fotografie di cartamodelli, realizzate nell’archivio dello stilista franco-tunisino Azzedine Alaïa. Qui Demand gioca su finzione e realtà, alternando corporeità e architettura e investendo tra la fisicità e la sua verosimiglianza.

DALLO SPAZIO INTIMO si trasloca in quello urbano, grazie a Sleepers II di Francis Alÿs. L’opera, estratta dai cicli Durmientes (1997 – 2002) e Ambulantes (1992 – 2002), è una installazione di diapositive realizzate in anni di appostamenti, soste, riattraversamenti e passeggiate lungo lo Zócalo a Città del Messico, alla ricerca di dormienti (homeless e cani abbandonati) adagiati su marciapiedi, angoli e gradini, a volte coperti dalla spazzatura e che delineano quella dimensione metropolitana di «invisibilità» alle strutture di potere.

Alÿs, con la sua grande sensibilità, colloca la proiezione a filo pavimentale, quasi a mostrare le immagini diapo nella loro giustapposizione reale. Accanto ad essa, è il dittico Untitled (Redemption) con gli studi preparatori, in cui due figure emerse dall’acqua, surrealmente, scrivono ciascuna sulla schiena dell’altra. Sullo scarto mnemonico è composta la serie Retina (2019) di Stefano Arienti, che attraverso gli arazzi di seta tessuti a Penne, interseca memoria digitale, memoria intimistica e le eccellenze artigianali locali. Mentre Massimo Grimaldi propone tre elaborazioni digitali di ritratti deformati della serie Scarecrows (2021).

Nelle altre sale, compresi pertugi e anfratti spaziali, si incastonano con installazioni, video, sculture e fotografie, Benni Bosetto, Mario Cresci, June Crespo, Paolo Gioli, Bronwyn Katz, Esther Kläs, Oliver Laric, Tala Madani, Anna Maria Maiolino, Marisa Merz, Luca Maria Patella, Hana Miletić, Luca Monterastelli, Frida Orupabo, Pietro Roccasalva, Mario Schifano, Elisa Sighicelli, Paloma Varga Weisz, Dominique White e He Xiangyu.

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