Visioni

Spartacus, falce e balletto

Spartacus, falce e ballettoscene dall'allestimento di Spartacus al teatro Carlo Felice – foto di Marcello Orselli

A teatro Ritorno sul palcoscenico del Carlo Felice a Genova per uno dei titoli storici della danza sovietica con le coreografie curate dall’Opera di Astana. Nato nel '68 al Bolshoi si gioca sull'alchimia tra coreografie e celebrazione della rivoluzione

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 24 gennaio 2015

Titolo esemplare del balletto sovietico, Spartacus, sulla coinvolgente, cinematografica musica di Aram Khachaturian, è un’opera ancora oggi di potente presa comunicativa. Al Bolshoi, dove nacque nel 1968 l’acclamata versione del balletto firmata nella coreografia da Juri Grigorovich, Spartacus è un cult inossidabile, di nuovo in scena dal 12 febbraio con Svetlana Zakharova nel ruolo di Egina e Mikhail Lobukhin nella parte del gladiatore trace. Ma non solo il Bolshoi continua a far rivivere questo titolo trionfale, giocato sulla magica alchimia tra virtuosismi coreografici e celebrazione dell’eroismo rivoluzionario: in questi giorni a danzarlo al Teatro Carlo Felice di Genova è il Balletto dell’Opera di Astana. Dopo il debutto di mercoledì, è in replica oggi pomeriggio e stasera, domani alle 15.30 e martedì prossimo, ancora con doppia recita pomeridiana e serale.

La compagnia di Balletto ospite del Carlo Felice con Spartacus e con il Gala in scena ieri sera, ha sede nella nuova Opera di Astana, fondata nel 2013 per iniziativa del Presidente della Repubblica del Kazakistan Nursultan Nazarbayev. Un lussuoso teatro che per la sua prima stagione ha messo in scena grandi titoli del repertorio operistico e di balletto, tessendo relazioni di scambio con istituzioni come il Teatro Mariinskij di San Pietroburgo, il Bolshoi di Mosca, La Scala di Milano, il Teatro Carlo Felice. 

24GENNAIOSPARTACUS2

Spartacus ha nel repertorio del balletto sovietico una storia che merita di essere raccontata e che si intreccia al rapporto tra arte e politica come si evince anche dal bel libro di Christina Ezrahi, Swans of the Kremlin, Ballet and Power in Soviet Russia (Dance Books, 2012). Dopo la rivoluzione del 1917, come far sì che un’arte, legata agli zar quale era il balletto con le sue storie di principi e principesse, potesse risvegliare la coscienza del nuovo popolo sovietico, fu un tema piuttosto dibattuto. Il balletto, in linea con il credo del realismo socialista, doveva trasformarsi in un’arte fondata sulla veridicità e sulla concretezza storica della rappresentazione artistica: qualità indispensabili a sollecitare nel nuovo pubblico di lavoratori la coscienza sociale del popolo. I titoli più adatti a questo fine erano quelli legati direttamente a qualche avvenimento simbolo della nuova Russia o a vicende storiche o mitologiche esaltatrici dello spirito rivoluzionario.

Spartacus offriva un argomento perfetto. Aram Khachaturian terminò nel 1954 la partitura del balletto, nata sul libretto di Nikolai Volkov, basato sul romanzo Spartaco di Raffaello Giovagnoli e sulla Storia di Roma – Le Guerre Civili di Appiano. La vicenda del gladiatore trace, che divenne guida della terza guerra servile, scoppiata contro la Roma Imperiale e contro il condottiero Marco Licinio Crasso nel 73 a.C., ispirò, come racconto simbolo dello spirito rivoluzionario, ben quattro diversi allestimenti dello stesso balletto. Il primo vide la nascita al Kirov di Leningrado, con coreografia di Leonid Iakobson, gli altri tre al Bolshoi, il primo di Mosca fu a firma Moiseev nel 1958, il secondo, del 1962, di nuovo di Iakobson, l’ultimo, del 1968, di Grigorovich. La decisione nel 1967 di produrre un nuovo allestimento di Spartacus, dopo tre tentativi ritenuti non pienamente soddisfacenti, si lega al 50° anniversario della Rivoluzione d’ottobre.
Negli anni la decisione di avere dei balletti di «spirito sovietico» non era sempre andata a buon fine: il genere drambalet, prediletto dal realismo socialista, non riusciva a superare in successo e grandezza coreografica le produzioni nate nell’epoca zarista, diventate, con il passare dei decenni, patrimonio d’esportazione anche della cultura sovietica. Nel 1967 i dirigenti del Bolshoi ritennero però che per la celebrazione del 50° ci volesse un titolo adeguato: affidarono la quarta versione di Spartacus a Grigorovich, che da quattro anni era alla testa del Balletto del Teatro.

Grigorovich, che direttore della compagnia moscovita resterà fino al 1995, non tradì le aspettative. Spartacus esaltava lo spirito rivoluzionario con uno stile agile, grazie a un’ottima caratterizzazione dei personaggi e a una coreografia articolata tra imponenti scene di massa e assoli che mettevano in risalto luci e ombre dei protagonisti. Al debutto Spartaco e la moglie Frigia erano Vladimir Vasiliev e Ekaterina Maximova, coppia nell’arte e nella vita tra le più significative del balletto russo. Tre atti e dodici scene, una rielaborazione del rapporto tra partitura e coreografia calzante, Grigorovich firmò un capolavoro.
Vedere Spartacus in questi giorni a Genova è l’occasione per comprendere un grande successo del repertorio sovietico. La compagnia kazaka ha avuto alla prima lo Spartaco coinvolgente di Bakhtiar Adamzhan, ballerino di notevole prestanza fisica e di pertinente drammaticità. Assieme a lui nel ruolo di Frigia la lirica Madina Basbayeva. Crasso era Arman Urazov, affiancato da Aigerim Beketayeva, danzatrice di grande espressività, ideale per il ruolo seduttore di Egina, la concubina di Crasso.
D’effetto l’impatto degli ensemble, con scudi, lance, elmi, abiti dorati: le scene e costumi, come nell’originale del 1968, sono di Simon Virsaladze, storico collaboratore di Grigorovich. Ensemble che contrastano con i toccanti monologhi dei protagonisti. Ottimo accompagnamento dell’Orchestra del Carlo Felice, diretta per l’occasione da Aidar Abzhakhanov, e coro del Teatro guidato da Paolo Assante nell’edificante scena finale del Requiem con Frigia che affida ai posteri la memoria di Spartacus.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento