Due figli e 27 anni, originaria di Oxford, la militante nera Sasha Johnson è in terapia intensiva dopo esser stata raggiunta alla testa da un proiettile sparato da un’automobile in corsa verso la casa in cui si trovava a Peckam, quartiere del sud-est londinese, all’alba di domenica 23 maggio.

Ed è in pericolo di vita. Il piccolo partito da lei co-fondato, Ttip (Taking the Initiative Party), che si batte per i diritti dei neri, ha dichiarato che Johnson aveva ricevuto «innumerevoli» minacce di morte, lasciando intendere un rapporto causale fra le loro campagne e l’accaduto: anche se nelle sue dichiarazioni ufficiali, Scotland Yard (nello specifico il servizio Trident, creato per contrastare la violenza fra gang e lo spaccio), ha fulmineamente escluso la premeditazione, preferendo la fin troppo plausibile versione del fatale incidente. Ipotesi, quest’ultima, corroborata altrettanto tempestivamente dalla dichiarazione alla Bbc di Imarn Ayton, un’amica della vittima, che ha sostenuto che Johnson si trovasse nel fatale posto sbagliato al momento sbagliato.

Un «semplice» fuoco incrociato fra gang rivali, insomma, per il quale non è stato ancora effettuato alcun arresto e si invitano possibili testimoni oculari.

A Consort road c’era un party affollato, come tanti – legalmente o meno – se ne organizzano in questi giorni in una Londra che si riaffaccia alla via sociale dopo mesi interminabili; e la presenza fra gli invitati di qualcuno sgradito a una gang locale avrebbe indotto – sempre secondo la dichiarazione di Ayton – a un tiro ai partecipanti in cui è rimasta a terra, erroneamente colpita, la giovane madre.

Che poi Ayton risulti essere la capofila di una cellula moderata del movimento denominata «Black Reformism Movement», che aborre i metodi più «radicali» di un antirazzismo/colonialismo spesso gravato da derive di vecchio separatismo panafricano preferendogli le buone vecchie riforme, è un dettaglio da non omettere.

Johnson, laureata ad Oxford in assistenza sociale e titolare di un caffè/punto di ritrovo e dibattito londinese, è stata descritta dai media come una leader di Black Lives Matter, e catalogata con il pigro epiteto di «Black Panther of Oxford» anche per il suo abbigliamento alle manifestazioni: ma la prima affermazione non è esatta. Ha lottato per la rimozione della statua dell’imperialista suprematista bianco Rhodes dalla facciata di un college oxfordiano (che peraltro resterà al suo posto per ragioni «strutturali») e contribuito ad organizzare la One million march della scorsa estate in risposta all’assassinio negli Usa di George Floyd – di cui ieri ricorreva malauguratamente il primo anniversario, anche se nel suo tweet di denuncia e solidarietà con Johnson il movimento ha specificato di non averla tra i suoi affiliati.

Definito come «il primo partito politico britannico guidato da neri», il Ttip è una formazione che si batte per «l’inclusione dei neri e dei lavoratori nell’arena politica del Regno Unito» ma ha anche un manifesto politico ambiguo quando non cospiratorio, che mescola anticapitalismo ai soliti sospetti sulla banda 5G e denuncia lo scandalo Windrush pur raccomandando uno stretto controllo delle frontiere.

Ieri si è tenuta una veglia non lontano dal King’s College Hospital, dove Johnson è ricoverata. Fra i tanti tweet di solidarietà l’unico laburista di un qualche peso proviene da David Lammy, deputato di origine guianese della soft-left laburista del collegio di Tottenham.