C’è una frattura ben visibile nella musica di Sparklehorse, una crepa in evidenza che corre attraverso le melodie mormorate sottovoce da Mark Linkous. Ascoltare il suo debut album del 1995, Vivadixiesubmarinetransmissionplot, può risultare simile all’accostarsi per la prima volta al kintsugi, la tecnica giapponese del XV secolo finalizzata alla riparazione di ceramiche ormai rotte. Questo processo non tende a nascondere le fratture, quanto piuttosto a enfatizzarle, dando forma a una sorta di «cucitura» realizzata con resina mescolata a polvere d’oro o d’argento, così da infondere nuova vita all’oggetto. I brani di quel disco monumentale hanno proprio quest’aspetto, sono canzoni frutto di una scrittura assolutamente intima, malinconicamente nostalgica, ma spesso increspata da una predilezione per il cantautorato in bassa fedeltà e da interferenze, scricchiolii, distorsioni.

L’OMAGGIO

Ascoltare la musica di Sparklehorse significa accedere a una sezione dell’anima di Mark Linkous, artista scomparso nel 2010 e senza dubbio una delle voci più sincere e fragili che il cantautorato statunitense degli ultimi decenni ci abbia regalato. A seguito della sua dipartita, arrivata con un colpo di fucile al cuore che lo stesso artista si è autoinflitto, sono seguiti anni di silenzio e attesa, parzialmente interrotti nell’ottobre del 2022 con la pubblicazione del documentario This Is Sparklehorse. Realizzato dai registi britannici Alex Crowton e Bobby Dass, il film raccoglie interviste di strettissimi collaboratori e amici di Linkous ed è girato con la classica passione e impostazione dei documentari indipendenti. Attraverso la narrazione della songwriter Angela Faye Martin, This Is Sparklehorse racconta la storia e i fantasmi che hanno caratterizzato la vita del cantautore, concentrandosi sui ricordi e le impressioni di artisti come David Lynch, Matt Linkous (fratello di Mark), Jonathan Donahue e Grasshopper (Mercury Rev), Adrian Utley (Portishead), John Parish e molti altri. Un documentario delicato che attraversa tutta la discografia di Sparklehorse, delineando un ritratto ammirato e perfino affettuoso di un artista che in vita avrebbe senza dubbio meritato maggior successo di pubblico.
Dopo meno di due mesi, nel dicembre 2022, arriva improvvisamente la pubblicazione del primo brano inedito firmato Sparklehorse, la traccia pop/rock It Will Never Stop che anticipa l’uscita dell’atteso quinto album. Bird Machine è il frutto di un meticoloso lavoro di recupero realizzato da Matt e Melissa, fratello e cognata di Linkous, e contiene i 14 brani a cui l’artista si stava dedicando nel 2010 assieme al mitico produttore di Chicago Steve Albini. Sebbene imperfetto e meno centrato rispetto ai suoi migliori lavori a cavallo degli anni Duemila, questo disco postumo è capace di incrociare la verve più rockettara di Sparklehorse e le gemme folk dalla scrittura più minimale. Un alternarsi di gioie e tormenti, speranze e rimpianti, per un album orgogliosamente americano, in cui chitarre elettriche e acustiche passano con destrezza dalla ballata classica all’aggressività alternative.

INTROSPEZIONI

Vittima sacrificale di una macchina affaristica che non risparmia nessuno, Mark Linkous resta fra le figure più sincere e illuminate che l’America cantautorale ci abbia regalato, tristemente affiancato ad altri due maestri del songwriting come Vic Chesnutt ed Elliot Smith, coi quali condivide non solo un talento fuori dall’ordinario ma perfino una tragica scelta suicida. La musica, anche in questo caso, non è bastata, eppure proprio ad essa Mark Linkous restava assolutamente fedele, impegnandosi inoltre nel lavoro al tavolo di produzione. Rimane indimenticabile l’affiancamento all’outsider per eccellenza, Daniel Johnston, con il disco del 2003 Fear Yourself e con il tributo postumo dal titolo The Late Great Daniel Johnston: Discovered Covered. Ma la spinta collaborativa è sempre stata nelle corde di Mark e si è concretizzata in maniera eccezionale soprattutto con due lp, It’s a Wonderful Life e Dark Night of the Soul. Il primo, uscito nel 2001, vede la presenza di un vero punto di riferimento per Sparklehorse, Tom Waits, ma anche PJ Harvey, John Parish, Nina Persson e Dave Fridmann. È però con il secondo – pubblicato ufficialmente nel 2010, pochi mesi dopo la morte di Linkous – che il concept collaborativo diviene il fulcro delle composizioni, grazie alla spinta di Danger Mouse e all’inserimento di David Lynch sia nella parte musicale che nella realizzazione di un inquieto book fotografico. È proprio il regista di Twin Peaks, nel documentario This Is Sparklehorse, a sintetizzare perfettamente il carattere introspettivo di Mark Linkous, per il quale la musica è stata un’emanazione di tenerezza e meravigliosa tristezza. Oppure, per dirlo con parole di Sparklehorse, un sincero conforto per cuori di metallo arrugginito.

FUORI I TITOLI

Sparklehorse + Thom Yorke Wish You Were Here (Painbirds/ Maria’s Little Elbows EP, Parlophone, 1998)
Versione struggente del super classico di Gilmour e Waters, questa versione in puro stile Linkous nasce dal tour che i Radiohead condivisero con Sparklehorse nel 1997, ai tempi dell’uscita di OK Computer. Thom Yorke cantò e suonò dal telefono di un albergo e il risultato è meravigliosamente elegiaco.

Sparklehorse + David Lynch Dark Night of the Soul (Dark Night of the Soul, Parlophone, 2010)
Una collaborazione sonora che si aggiunge a quella fotografica con il regista di Missoula, fra le influenze artistiche più dirette di Linkous. Una traccia oscura e cadenzata come una marcia notturna, che cattura la voce gracchiante di Lynch e in parte anticipa lo stile e l’approccio che il regista utilizzerà nel suo primo vero album solista dell’anno successivo, Crazy Clown Time.

Sparklehorse + Fennesz In the Fishtank 15 (Konkurrent, 2009)
Una collaborazione tanto inaspettata quanto riuscita, quella fra Mark Linkous e il maestro viennese della glitch music Christian Fennesz. Sette tracce uscite per la serie In The Fishtank, in cui gli artisti hanno due giorni per registrare qualunque cosa desiderino. Il minimalismo elettronico di Fennesz incontra le interferenze lo-fi di Sparklehorse.

Sparklehorse + The Flaming Lips + Daniel Johnston Go (The Late Great Daniel Johnston: Discovered Covered, Gammon Records, 2004)
Una versione sognante e delicata di un classico di Daniel Johnston, ineffabile protagonista del moderno cantautorato alternativo americano. Il brano, registrato assieme ai Flaming Lips di Wayne Coyne, è parte di una compilation tributo curata proprio da Mark Linkous, già al banco di produzione dell’album del 2003 di Johnston Fear Yourself.

Sparklehorse + PJ Harvey Piano Fire (It’s a Wonderful Life, Capitol Records, 2001)
Probabilmente il singolo più efficace e radiofonico dell’intera discografia di Sparklehorse, questa eccellente collaborazione con PJ Harvey è ritmicamente avvincente seppur velata di una malinconia in tipico stile Linkous.

Sparklehorse + Nina Persson Gold Day (It’s a Wonderful Life, Capitol Records, 2001)
Frutto di una collaborazione solida e duratura – che nello stesso anno vede anche la produzione di Linkous per il debutto solista della Persson sotto moniker A Camp – Gold Day è fra le tracce più sognanti e memorabili dell’album. Uno dei brani per cui riascoltare Sparklehorse senza soluzione di continuità.

Sparklehorse + Tom Waits Dog Door (It’s A Wonderful Life, Capitol Records, 2001)
Dichiaratamente fra le maggiori influenze di Mark Linkous grazie agli album pubblicati fra il 1983 e il 1992, la partecipazione di Tom Waits al terzo disco di Sparklehorse è sia una consacrazione che una perfetta collaborazione. Il brano sembra un estratto di Swordfishtrombones e risulta inquieto e sornione come solo Tom Waits sa essere.

Sparklehorse + Vic Chesnutt Grim Augury (Dark Night of the Soul, Parlophone, 2010)
Punto di riferimento personale e forse anche spirituale per Mark Linkous, Vic Chesnutt è l’artista che più di tutti ne ha condiviso dolori e passioni. Grim Augury è un incubo dall’andamento mesmerico nonché il brano che sancisce la collaborazione artistica fra i due cantautori, ma il loro legame è stato talmente forte da determinarne perfino parte del destino.