È vero, hanno convocato un referendum per l’indipendenza dopo sette anni di scontro con Madrid e il Partito popolare; è vero, hanno chiamato al voto minando le già incerte istituzioni spagnole immobili alla svolta del 1978 che traghettò il Paese fuori dal buio del fascismo di Franco. È vero, irresponsabilmente non hanno tenuto conto dei rapporti di forza.

Eppure senza l’uso della violenza, solo con le urne e il confronto delle piazze.

Ma ora la leadership indipendentista catalana viene trattata peggio dei criminali comuni e dei terroristi, con l’arresto di 7 ministri e del vice presidente Junqueras – che raggiungono i «due Jordi» già in galera – e il mandato di cattura per il presidente Puigdemont riparato a Bruxelles.

Siamo di fronte ad un evento grave e inedito che azzera il poco di dialogo che rimaneva e per il quale, inascoltate, si sono spese forze come Podemos o la sindaca di Barcellona Ada Colau.

Il Psoe, alla deriva, tace e acconsente.

L’arresto da parte di Madrid dei membri del governo catalano – ora «martiri» – è la conferma della linea tanto repressiva quanto miope voluta da Mariano Rajoy fin dall’inizio della crisi.

Parlare ora di elezioni «libere» tra un mese, il 21 dicembre, alle quali non si potranno presentare i leader indipendentisti agli arresti e forse lo stesso Puigdemont, è pura finzione e arroganza degna di un regime.

Il velo del patto democratico è strappato. In Catalogna e in Spagna e per il futuro dell’Unione europea.

Errata corrige

Nell’editoriale in edicola ieri di Tommaso Di Francesco il partito del pur gelido Rajoy è diventato Partito polare, anziché «popolare» e nel merito dei metodi degli indipendentisti catalani è comparso un «mai» di troppo: alla fine il testo corretto è: «Eppure senza l’uso della violenza». Ce ne scusiamo con i lettori.