Lou Ye mette in scena la sceneggiatura di La donna del fiume (Souzhou River), il cui intrigo nella sostanza rivisita il doppio dramma della Donna che visse due volte (Vertigo) di Alfred Hitchcock, come se la storia stessa fosse a sua volta un fiume. Ora, ci sono due modi di filmare un fiume. Il primo è dalla riva, la macchina da presa è ferma, l’acqua si muove trasportando oggetti, persone, storie, facendole apparire per un attimo e poi sottraendole allo sguardo per consegnarle fuori campo all’immaginazione. L’altra maniera ovviamente è quella di filmare dal fiume, posizionandosi su una barca. In questo caso tutto è in movimento. La riva scorre, e con essa la città, le case, i ponti. Ma anche la barca a sua volta si muove, nella direzione della corrente o al contrario risalendola.
Dal lato della riva, ai bordi estremi di ogni civiltà industriale possibile, in una Cina precisamente a metà strada tra il lirismo del Chung Kuo di Antonioni e le vestigia arrugginite di West Of the Tracks di Wang Bing, un videasta anonimo, di cui non vediamo mai nulla a parte le mani (Hua Zhongkai), racconta e filma macchina in spalla il proprio incontro amoroso con Meimei (Zhou Xun) la quale si esibisce vestita da sirena in un bar dal nome The Happy Tavern.
Dal lato del fiume, un’altra storia d’amore. Quella tra Madar (Jia Hongsheng), un pony express che consegna pacchetti per la malavita di Shanghai. E l’adolescente Moudan (sempre Zhou Xun), figlia d’un imprenditore della Vodka che ingaggia Madar per scorrazzare Moudan. Tra lui e lei ovviamente nasce una relazione che si interrompe quando lei, sentendosi tradita, decide di gettarsi nelle acque del fiume Souzhou, salvo, vortice del fiume narrativo, riapparire come sirenetta nell’acquario del Tavern.

LA COSA che stupisce di più, rivendendo Souzhou River, a due decenni di distanza da quando fu presentato in Europa, è come Lou Ye sia riuscito a far scorrere, nello stesso fiume di immagini, due correnti di velocità e intensità diverse. Quella più evidente e colorata è la corrente della Nouvelle vague cinese a cavallo tra la fine degli anni novanta e l’inizio del nuovo secolo – ufficialmente chiamata sesta generazione. Il karaoke, la motocicletta, il telefono cellulare: nel film non manca nulla di quegli oggetti che nel cinema asiatico di quegli anni non sono mai dei semplici accessori di scena ma delle zattere sui quali la macchina da presa si lascia andare alla deriva. E al tempo stesso, come questa apparenza pop sia un modo per far entrare nel film tutti i luoghi del cinema di Hitchcock. L’automobile di Scotty, la foresta in cui gli amanti si appartano, il retrobottega da cui lui osserva Madelaine: in tutti questi spazi, chi guarda è immobile e in movimento, come sospeso sopra un abisso. Lou Ye li resuscita travestendoli nelle rovine della Shanghai industriale, proprio come Scotty fa con Madelaine. E al tempo stesso li abbandona a se stessi con ironia. Ogni qual volta il film sembra eccedere nella melanconia, nel manierismo, nel melodramma, Lou Yi taglia corto, non esita a buttare tutto al fiume.

«QUANTO ti sei fatto dare per me ? » – chiede Moudan a Madar prima di fuggire disgustata, urlando di valere molto di più dei 45 000 yen chiesti per il suo riscatto. ll film, probabilmente, è stato girato con una cifra simile.
Lou Ye, il cui precedente Weekend Lover (1995), era stato stato censurato in Cina, non si è mai compromesso con il sistema ufficiale, che lo ha sistematicamente osteggiato. Souzhou River è stato prodotto in maniera indipendente, accumulando una serie di espedienti. Un fabbricante di birra avrebbe messo a disposizione i primi fondi. L’ironia in questo caso è che la bevanda celebrata dal film è invece la vodka. Mentre la birra è solo gettata in faccia con disgusto. Alcuni amici cineasti avrebbero contribuito a finanziare il seguito. Infine, un gruppo di festival internazionali ha aiutato a completare Souzhou River. Il film porta in sé la memoria della produzione acrobatica e intermittente di cui è il frutto. Il suo restauro in 4K dal negativo originale in 16 millimetri è una splendida notizia. Vederlo oggi dà esattamente lo stesso piacere che vent’anni fa. L’impressione è quella di scoprire un cineasta delicato e coraggioso che irrompe sulla scena, come la sua eroina, lasciandosi cadere di spalle nel fiume del cinema mondiale.