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Sottsass-Spazzapan, sodalizio torinese in fulmini grafici e maestri moderni

Sottsass-Spazzapan, sodalizio torinese in fulmini grafici e maestri moderniLuigi Spazzapan, «La camicia bianca», 1935 circa, Gradisca d’Isonzo, Galleria Spazzapan

A Gradisca d’Isonzo Fra gli anni ’30 e ’40 Ettore Sottsass, futuro designer, studiava da pittore, e si servì della lezione di «velocità», francese, del «molto antifascista» Luigi Spazzapan

Pubblicato più di un anno faEdizione del 9 aprile 2023
Luca Pietro NicolettiGRADISCA D’ISONZO (GORIZIA)

In Scritto di notte, l’autobiografia pubblicata postuma nel 2010, Ettore Sottsass (Innsbruck 1917 – Milano 2007) dedicò molte pagine a Luigi Spazzapan (Gradisca d’Isonzo 1889 – Torino 1958). I due si incontrano per la prima nel 1937 a Torino, dove il pittore viveva dal 1928 e dove il futuro designer era andato a studiare architettura. Da quel momento, nonostante il significativo divario d’età, sarebbe cominciata un’assidua frequentazione: «invece di andare a sentire vecchi professori più o meno illuminati», ricorderà Sottsass, «andavo quasi tutti i pomeriggi a trovare un pittore molto antifascista e molto anarchico di nome Spazzapan». Ed è allora che, per un momento, al giovane balenò l’idea di cimentarsi con la pittura – che costituirà per lui una parentesi significativa nel corso degli anni cinquanta –, arrivando persino a militare nelle fila dello Spazialismo milanese intorno al 1956.

A quella data, però, per quanto lo stesso Spazzapan negli ultimi anni di vita avesse avuto un momento di conversione all’Informale, le loro strade si erano tutto sommato separate. Eppure, in quello scorcio degli anni trenta e per tutti gli anni quaranta, ci fu un dialogo costante, di cui si percepisce l’intensità, in assenza di documenti d’archivio, dalle stesse opere che i due, freneticamente, realizzarono entro la fine degli anni quaranta: alcuni quadri e un inarrestabile flusso di opere su carta.

È proprio questa la storia di cui offre una traccia eloquente Sottsass Spazzapan, la mostra curata da Lorenzo Michelli e Vanja Strukelj presso la Galleria Regionale d’Arte contemporanea «Luigi Spazzapan» di Gradisca d’Isonzo, aperta fino al 30 aprile (catalogo Skira, pp. 215, euro 28,00): la storia di un’iniziazione all’arte moderna, alla scoperta dei pittori francesi e delle avanguardie astratte, nutrita dai racconti dei soggiorni dell’isontino in Germania ai tempi del Blaue Reiter.

Sono gli anni in cui entrambi sono nella rosa di sei organizzatori del Premio Torino 1947, fra i primi e incompresi tentativi di svecchiamento dell’arte italiana in chiave europea, così come Einaudi stava facendo in campo editoriale. Sono proprio i libri, anzi, a costituire la principale testimonianza di questo rapporto: nel 1945, quando riceve da Vladimiro Orengo l’incarico di curare la collana «L’Atelier» per le edizioni Orma, Sottsass propose prima una scelta di disegni di Grosz, ma subito dopo ne pubblica sedici di Spazzapan con introduzione di Lionello Venturi, a riprova del ruolo cruciale avuto dall’opera su carta nella carriera dell’anziano pittore e, in generale, nel loro rapporto. Nello stesso giro di anni, infatti, il trentenne Sottsass realizza una serie di schizzi per le copertine progettate da Max Huber per la «Universale Einaudi», dove sfoggia un repertorio di prelievi puntuali da Spazzapan: i teschi dei Mangiatori di lische del 1931, per esempio, diventano il modello morfologico per il trio di scheletri musicanti che corredano la prima traduzione italiana, compiuta da Fernanda Pivano, dell’Antologia di Spoon River. E ancora, nel 1946, i cavalli imbizzarriti, tutti picassiani, per Michele Kohlhaas di von Kleist provengono dalla stessa scuderia degli stalloni a riposo tratteggiati con largo segno di inchiostro a pennello degli anni trenta.

Il confronto potrebbe proseguire oltre – anche sul piano delle ricerche astratte e concretiste, di cui entrambi proporranno una declinazione temperamentale –, perché anche i debiti stilistici verso altri artisti si possono far risalire a quei dialoghi in studio. È Matisse, in prima battuta, il maestro da cui apprendere la grammatica dell’ornamento fiorito e bidimensionale, declinabile in spessi tratti neri fino a saturare il foglio (Spazzapan) o in campiture timbriche cucite da un disegno di poche segni e qualche graffito (Sottsass). Quest’ultima strada, per altro, risultava adattissima alla resa degli arredi moderni, contrappuntati dalle sontuose foglie esotiche della monstera, una delle piante ornamentali più fortunate nella storia della pittura moderna.

Ma c’è un altro attore, sempre poco considerato, che non di rado fa capolino fra questi fogli: è il nume di Raoul Dufy – per un decennio guardato e imitato, insieme a Rouault, dagli artisti più insospettabili – a offrire una via di compromesso fra le istanze d’avanguardia e l’esigenza illustrativa di conservare la freschezza e immediatezza di un’impressione alla prima risolta in un rapido schizzo. Gli studi per Lo spettatore di Addison, anch’esso edito da Einaudi nel 1946, tradiscono proprio questa derivazione, i cui echi sono evidenti anche in molti fogli di Spazzapan, e ancor più nei suoi dipinti di fine anni quaranta, ricchi di rigogliosa vegetazione animata di piccoli insetti resi con qualche virgola di colore, dove il segno poteva diventare una libera scrittura.

Ettore Sottsass, Ceramica Yantra Y/28, 1969

Il gioco dei confronti e delle citazioni, tuttavia, avrebbe il fiato corto, e sarebbe soltanto una delle numerose componenti che nel tempo andarono a formare la poliedrica ed eccentrica cultura di Sottsass risalente agli anni cinquanta, di certi disegni spazialisti di Lucio Fontana con liquide campiture brillanti che trapela dagli studi per la serie di piatti in ceramica dedicati a Shiva del 1963; o il debito verso le istanze astrattiste, che talvolta fa pensare a certe proposte grafiche nate in seno alla rivista «I 4 Soli». Non mancano nemmeno studi intorno agli assunti compositivi del Kandinsky parigino, ma filtrati da una resa grafica impaziente, come grandi fili d’erba di irruente sprezzatura.

L’esempio di Spazzapan, infatti, costituì una cruciale lezione di libertà inventiva ed emotiva, quella foga di delineare gli oggetti con pochi tratti di pennello, e la scelta quasi ideologica di disegnare veementemente a inchiostro, in risposta alla solidità plastica e strutturante corrente nel disegno monumentale praticato fra le due guerre. Sottsass, infatti, lo aveva visto al lavoro, e dove non arriva la citazione esplicita, bisogna leggere la traiettoria dei gesti e la sequenza di stesure sovrapposte su carta o su tela, più che il risultato finale.

«Quando dipingeva», ricorderà, «teneva il braccio disteso, e anche il pennello era tenuto come se fosse una continuazione del braccio. Lui, Spazzapan, stava lontano dalla carta fissata sul cavalletto e qualche volta anche abbandonata per terra, come se non ci fosse abbastanza tempo per guardare quello che stava succedendo sulla carta. Tra lui, lui tutto intero, e quello che succedeva sulla carta, c’era un incontro istantaneo, un lampo, una serie di fulmini che illuminavano il tempo e lo spazio».

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