Fumata nera. Il listone dei sottosegretari arriverà tra oggi e domani ma non è escluso che ci voglia persino qualche giorno in più. Le formule di governo possono essere mutevoli, varcare le soglie dell’inverosimile, ma qualcosa resta sempre identico e la corsa ai sottosegretariati, con tanto di sgomitamenti da rugby, è una di queste. Stavolta ci sono alcuni problemi in più e tra questi la presenza dei tecnici indicati direttamente da Mario Draghi è il minore: ne ha chiesti solo tre, sia pure in posti chiave.

Il macigno sono i 5 Stelle. Nel governo Conte bis contavano un esercito di sottosegretari. Draghi e il sottosegretario alla presidenza del consiglio Roberto Garofoli, delegato alla trattativa, pensano invece di adoperare la stessa formula usata per il governo: una sorta di Cencelli non misurato grammo per grammo sul peso della rappresentanza parlamentare di ciascun partito. Solo che una parte non secondaria della tempesta che si è abbattuta sul Movimento deriva proprio dai pochi ministeri occupati dai pentastellati, soprattutto negli umori della base. Leggendo i commenti degli attivisti sui social, che in questi giorni si contano a migliaia, è impossibile evitare la sensazione di trovarsi di fronte a una specie di partito mastelliano di massa: «Come, a noi solo questo?». L’esercito dei sottosegretari dovrebbe dunque essere nelle fantasie del Movimento occasione per riequilibrare. Ma il disegno di Draghi e Garofoli tira in direzione opposta. L’ultimo ostacolo, non certo nuovo ma che si presenta stavolta in forme accentuate, è l’assedio ai ministeri più pesanti. In questo caso sono due, quello dell’Economia e quello della Transizione ecologica, le colonne del Recovery Plan, a cui si aggiunge,come sempre quello degli Interni. Per la Lega.

Poi, naturalmente, c’è la ressa di sempre. I partiti hanno presentato le loro candidature o le loro rose. Solo LeU ha indicato un nome secco, quello della sottosegretaria all’Economia nel Conte bis Cecilia Guerra. Non dovrebbe esserci problema, anche perché si tratta di una delle sottosegretarie più preparate della squadra uscente. Ma trattandosi appunto dell’Economia persino questo crea problemi.
Per il Pd le donne, tanto per cambiare, sono un problema. A caldo, sommerso dalle critiche per la delegazione tutta composta da maschietti tra i ministri, il Nazareno aveva promesso una pattuglia di sottosegretarie tutte donne. Impegno derubricato al 60% del gruppo. I sottosegretari dovrebbero essere sette, forse otto, e le donne quattro: la metà più uno. Almeno se Draghi accetterà di considerare l’ex ministro per gli affari europei Enzo Amendola incluso in una sorta di quota Mattarella. A chiedere la sua permanenza, per garantire continuità nei rapporti con Bruxelles, sarebbe stato proprio il capo dello Stato: perché allora non considerarlo, come già nel caso del ministro della Difesa Lorenzo Guerini, scorporato dal Pd?

Dal Nazareno le conferme dovrebbero essere Antonio Misiani all’ambitissimo ministero dell’Economia, Matteo Mauri agli Interni e Andrea Martella all’Editoria, postazione più contesa. La Lega punta alla Salute con Luca Coletto e agli Interni ma dà per certa anche la presenza di Giulia Bongiorno alla Giustizia. Tra le conferme previste per i 5 Stelle Pierpaolo Sileri alla Salute, Laura Castelli all’Economia, Carlo Sibilia agli Interni, Stefano Buffagni al Mise. Per la Giustizia è in corsa anche la dem Valeria Valente. Mentre un’altra dem, l’ex ministra della pubblica amministrazione Marianna Madia, potrebbe andare alla Transizione ecologica. Sempre che non ceda alla tentazione un po’ suicida di candidarsi a Roma. Italia viva punta invece a fare quel che il Pd aveva promesso: una schiera tutta o quasi femminile.

Forza Italia ha presentato una rosa dai mille petali: una ventina di candidature per sette posti e in questo caso il problema del Pd si presenta rovesciato. I maschi, penalizzati (secondo loro) nei ministeri insistono per la preponderanza fra i sottosegretari. Ma c’è un problema anche tra le due camere. I ministri sono tutti deputati. La capogruppo al Senato Anna Maria Bernini insiste quindi per una maggioranza di senatori tra i luogotenenti. A Roberto Garofoli il compito di risolvere il rebus.