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Sottosegretari, c’è posto per tutti

Sottosegretari, c’è posto per tuttiPalazzo Chigi

Nomine Manuale Cencelli e biografie imbarazzanti. Renzi dimentica la retorica sulle quote rosa. Viceministro della giustizia l’autore delle leggi ad personam per Berlusconi. Alla cultura la «impresentabile» sarda

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 1 marzo 2014

Il rito intramontabile del listone dei sottosegretari. Se ne comincia a parlare nelle stesse ore in cui si fanno i ministri, le sottopoltrone funzionano da compensazione e talvolta da risarcimento. Le trattative si ingarbugliano e continuano fino al tavolo del Consiglio dei ministri, quando c’è la tradizione per i candidati in attesa di trovarsi, in quei quarti d’ora fatali, a passeggio attorno palazzo Chigi, in giro con gli aspiranti portaborse. Quasi sempre deve intervenire alla fine il presidente del Consiglio, è successo anche stavolta, per risolvere tra le inconciliabili richieste. Si racconta che D’Alema alla sua unica esperienza si fece consegnare le biografie dei pretendenti e compilò da solo e personalmente l’elenco. Immancabili le sorprese. Ieri mattina il viceministro Vincenzo De Luca aveva già ricevuto le congratulazioni, quando scaramantico si era messo a chiamare direttamente la sala dei ministri per stare tranquillo. Da un certo punto in poi non gli hanno più risposto.

De Luca è il «trombato» eccellente, ma ci sono anche eccellenti promossi come il senatore calabrese del Nuovo centrodestra Antonio Gentile che solo pochi giorni fa è stato coinvolto in una brutta storia di censura. Il direttore del quotidiano L’Ora della Calabria ha raccontato di aver subito pressioni da parte dell’editore per non pubblicare la notizia di un’inchiesta a carico del figlio del senatore, al suo rifiuto lo stampatore ha bloccato il giornale in tipografia adducendo problemi tecnici. Gentile sarà sottosegretario alle infrastrutture.
Ma non basta guardare alle biografie per giudicare il listone. Anzi, conviene partire dagli equilibri di potere: al Pd è andata la quota più consistente di incarichi, 25 di cui quattro viceministri. La maggioranza sono renziani (dieci), bottino grosso anche per i franceschiniani (sette) e per i cuperliani (sette), categoria che però riassume diverse sfumature; uno solo il lettiano puro, l’ex presidente della Basilicata Vito De Filippo che si è dimesso per essere stato coinvolto nell’inchiesta sui rimborsi regionali. A ruota del Pd ci sono le poltrone del Nuovo centrodestra, dieci di cui due da viceministro: Alfano ha badato a premiare soprattutto i capibastone territoriali che gli consentono di organizzare il partito. Oltre a Gentile spiccano il pugliese Massimo Cassano, il siciliano Giuseppe Castiglione e la padovana Barbara Degnai, presidente della provincia – cioè di un ente che Renzi promette di cancellare. Stesso bottino identico, tre sottosegretari e un viceministro, per le due fazioni ad alta litigiosità della fu lista Monti, Scelta civica e Popolari per l’Italia. Un posto solo ma da viceministro alle infrastrutture (quello che era di De Luca) per il segretario dei socialisti, Riccardo Nencini. La retorica renziana sulla parità di genere segna immediatamente il passo: nel listone dei 44 le donne sono solo nove, e così in barba a tanti slogan la percentuale di rappresentanza femminile complessiva è la stessa del governo Letta. Che era anche più snello, altro mito da sfatare, 61 scrivanie totali contro le 62 dell’esecutivo Renzi.

Per il resto c’è continuità assoluta. Se i ministri confermati erano otto, i sottosegretari sono più del doppio: 17. Caso limite quello del Viminale, dove non solo Angelino Alfano ha conservato l’incarico di ministro malgrado la figuraccia rimediata nel caso Shalabayeva (con tanto di critiche, allora, di Renzi) ma si è visto anche confermare i tre collaboratori, il viceministro Bubbico e i sottosegretari Bocci e Manzione. Al ministero dell’interno nulla è cambiato. Conferma anche per il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega ai servizi Marco Minniti, agli esteri del viceministro Lapo Pistelli e del sottosegretario Giro e di quasi tutta la squadra dello sviluppo economico, con i viceministri Calenda e De Vincenti e la sottosegretaria Vicari.

E veniamo alle novità. Due a palazzo Chigi, coppia di renziani doc come sottosegretari alla presidenza del Consiglio. Ma il primo è un collaboratore storico del segretario Pd, Luca Lotti, e avrà la delega all’editoria, il secondo è una conquista più recente della corrente – via Goffredo Bettini -, Sandro Gozi che avrà la delega pesante agli affari dell’Unione europea. Al ministero delle riforme arriva Ivan Scalfarotto con l’annunciato compito di dedicarsi alle unioni civili, promosso anche Gianclaudio Bressa, grande esperto di legge elettorale e regista per Renzi di diversi passaggi sull’Italicum, peccato gli sia stato trovato posto solo agli affari regionali. Notevole la poltrona di sottosegretario alla difesa per un generale di corpo d’armata, Domenico Rossi. Ex presidente del Cocer, Rossi è stato eletto con Monti ed è adesso con i popolari dell’ex ministro Mauro: la sua candidatura era stata contestata perché si trattava di un generale in servizio attivo, sottocapo di stato maggiore.
Incarico importante quello di Antonello Giacomelli, franceschiniano di esperienza con un passato di direttore di una televisione privata fiorentina, Canale 10, e di collaboratore del gruppo Cecchi Gori. Sarà lui a occuparsi di Telecomunicazioni come sottosegretario allo sviluppo economico, ministero guidato dalla già berlusconiana Federica Guidi. Promossa anche la renziana sarda Francesca Barracciu, vincitrice delle primarie per le regionali ma poi esclusa dalla corsa per la presidenza e anche dalla lista degli assessori perché indagata per i rimborsi regionali: per lei un posto alla cultura. Ma la nomina più importante l’ha probabilmente strappata ancora Alfano, sistemando come vice ministro alla giustizia Enrico Costa, figlio dell’ultimo segretario del partito liberale Raffaele. Da berlusconiano non pentito, Costa junior è stato battagliero capogruppo in commissione giustizia: l’ultima delle leggi ad personam che avrebbe dovuto salvare il Cavaliere, il legittimo impedimento, porta la sua firma.

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