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Sotto il pavet, la spiaggia

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Cinema Da domani in sala Vizio di forma di Paul Thomas Anderson. Noir, umorismo, utopia di un film politico

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 25 febbraio 2015

Sotto il pavet la spiaggia. Il grido scanzonato del Maggio francese che rivendicava il potere dell’immaginario e la sua invenzione attraversa Inherent Vice (dedicato a chi rimane fino alla fine dei titoli di coda), il nuovo film di Paul Thomas Anderson che si conferma uno dei registi della sua generazione (è nato nel 1970) con più talento, capace di mescolare respiro epico e sentimento (non sentimentalismo) di una splendida follia dalla parte degli «sconfitti». Inherent Vice, in italiano Vizio di forma è tratto dal romanzo di Thomas Pynchon (Einaudi), ma poco importa averlo letto o no (come tutti i grandi film da un grande romanzo)- anche se condivide col testo di partenza lo spirito e le atmosfere.

 

 

 

Perché la bellezza di questo film è nelle sue immagini, nel suo movimento narrativo, in quel suo essere dolcemente irriverente, fuorilegge e fuorimoda come il suo protagonista, il detective Larry « Doc» Sportello, ciancicatissimo hippy malvisto (e bastonato) dalla polizia losangelina che lo considera un pericoloso rifiuto tossico. Troppa libertà nella sua vita, troppo poco «conformismo» come il cinema di P.T Anderson che dopo avere raccontato «padri» e «Maestri» (e prima ancora i ragazzini inghiottiti dall’industria dello spettacolo porno di Boogie Nights o i petali impazziti di una Magnolia americana tra televisione e antidepressivi) nel dopoguerra spaesato di The Master, disegna una nuova linea del suo paesaggio americano. Siamo nell’America alla fine degli anni Sessanta, quella dell’utopia che è troppo pericolosa, dove il corpo è bello e si fa l’amore tutti insieme, si scoprono acidi e marijuana che alzano la sensibilità dell’occhio e della mente. Si smascherano poteri e polizia, si combatte la guerra, si rivoluziona il sistema e l’immaginario scrive un’altra Storia.

 

 

 

É la vita di Doc ma di lui dicono con disprezzo che è uno sballato poliziotti e perbenisti che utilizzano la seduzione dell’eroina per distruggere e ricattare i movimenti come accadrà con Pantere nere e studenti … Quella «roba» ha il nome esotico di una caravella d’oriente, neutralizza i cervelli e distrugge i denti ma ci pensano le abili multinazionali dei dentisti a rifarli fornendo insieme al sorriso nuovo l’American express necessaria a ricominciare. «Buoni viaggi» sorride enigmatica la boss dell’Impero dorato mettendo in mano al jazzista appena uscito dalla «rota» la magica carta che ce lo riporterà. Doc finisce in un intrigo pericoloso cercando l’amata Shasta che lo ha lasciato per un milionario, ma il racconto si confonde anche se guidato dalla voce off noir di un’amica di Doc.

 

 

 

In questo «suo» Pynchon Anderson porta il cinema per lui importante (Altman intanto) e insieme l’amore per i suoi personaggi anche questo – sempre più raro al cinema, e invece molto diffuso nei film di quegli anni. Doc Sportello -Joaquim  Phoenix attore sublime di cui Anderson sa utilizzare ogni sfumatura rivelandone sempre nuove – nel mondo che si sta preparando di patina e di apparenze, corpi perfetti con improbabili abbronzature e body building, manicomi criminali dove rinchiudere chi disturba, l’era Nixon di guerra e repressione, commuove per la fisicità del suo desiderio, innocente Dreamer di un’utopia che sembra già lontana. E lui lo sa perché le droghe aprono la testa e allargano la percezione del mondo se usate in modo giusto, permettono di guardare più lontano. Leary insegna.

 

 

 

Un film sull’utopia dunque che è un Vizio di forma, un’irregolarità come Sportello e i suoi amici che con lui condividono la voglia di reinventare il mondo. E un film politico nel senso più viscerale, che sta per un film libero, che guarda indietro senza patina di nostalgia, e nella sovrimpressione dei piani narrativi avvolti nell’intrigo della Storia e in uno stato di coscienza espanso, lascia intuire qualcosa del presente. Della vita e del cinema, coi suoi scossoni e la sua imprevedibile meraviglia, il doppio di quella formattazione che ha vinto – anche se si può tornare all’incanto di una passeggiata davanti alle onde – alla spudoratezza di un pomeriggio in cerca di droghe, alla libertà di fare domande, di godere le onde, di toccarsi e di lasciarsi stupire dalla scoperta di un nuovo mondo insieme all’amata Shasta che all’improvviso ritorna davanti a Doc nella piccola casa che somiglia alla canzone di Neil Young.

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