Non è la fine dell’incubo. Ma per un po’, potranno respirare le quattro famiglie palestinesi di Sheikh Jarrah, a Gerusalemme Est, che rischiavano di perdere nelle prossime settimane le case in cui vivono dagli anni ’50 a favore di coloni israeliani. L’Alta corte di giustizia israeliana ha deciso ieri che non saranno sfrattate fino a quando il ministero della giustizia israeliano non avrà esaminato i documenti relativi alle loro abitazioni costruite su terreni rivendicati da gruppi dell’estrema destra israeliana. Nel frattempo, depositeranno un affitto di 2.400 shekel (circa 740 dollari) all’anno, su un conto bancario appartenente agli avvocati palestinesi e israeliani.

Festeggiava ieri sera la famiglia Salem, la prima sulla lista degli sgomberi annunciati. Le prospettive comunque restano incerte. Senza contare le proteste dei coloni. Un deputato di estrema destra, Itamar Ben Gvir, ha aperto, sotto una tenda, un suo «ufficio» proprio davanti all’abitazione dei Salem. Gli avvocati dei palestinesi sperano che il caso costituisca un precedente per i procedimenti riguardanti altre 24 famiglie di Sheikh Jarrah ugualmente a rischio di sgombero. I tribunali, sulla base della legge israeliana – Gerusalemme Est è un territorio occupato non israeliano secondo il diritto internazionale -, hanno sempre ritenuto che Nahalat Shimon, l’organizzazione che cerca di sfrattare le quattro famiglie, fosse proprietaria della terra. I palestinesi ripetono che le autorità giordane – che controllavano Gerusalemme Est tra il 1948 e il 1967 – erano sul punto di consegnare gli atti sulle proprietà quando Israele ha occupato militarmente la zona Est della città.

Non pochi ritengono che il passo dell’Alta Corte israeliana sia frutto anche di considerazioni politiche. La minaccia di espulsione delle quattro famiglie provocò un anno fa scontri e tensioni, con morti e feriti, a Gerusalemme Est, in Cisgiordania e in Israele. E innescò un nuovo conflitto a Gaza. Uno scenario che potrebbe ripetersi il mese prossimo durante il Ramadan. I segnali vanno in quella direzione. Due giorni fa la polizia israeliana ha caricato con forza decine di giovani palestinesi – venti gli arresti, diversi feriti – che si erano radunati alla Porta di Damasco e si sono riviste le scene di un anno fa.

In Cisgiordania la tensione è sempre più alta e sale il numero dei palestinesi uccisi negli ultimi giorni dai soldati israeliani. Ieri un giovane, Ammar Abu Afifa, 21 anni, è stato colpito mortalmente durante proteste scoppiate a Beit Fajjar. Ore prima Abdullah Husari, 22 anni, e Shadi Najm, 18 anni, erano stati uccisi durante un raid dell’esercito a Jenin. Husari, del Jihad islami, era armato ed è stato colpito durante uno scontro a fuoco. Migliaia di prigionieri palestinesi ieri hanno annunciato lo sciopero della fame nelle prigioni israeliane per protestare contro l’inasprimento delle misure di detenzione.