«Sos Leone», un ruggito per salvare il felino africano
Africa La profonda crisi del Re della savana, tra degrado degli habitat naturali, bracconaggio e commercio illegale. Campagna del Wwf per rimetterlo sul trono
Africa La profonda crisi del Re della savana, tra degrado degli habitat naturali, bracconaggio e commercio illegale. Campagna del Wwf per rimetterlo sul trono
Il re della savana sta perdendo la sua corona, che peraltro è sempre più piena di spine. Attaccato su due fronti, da una parte subisce un crollo ininterrotto nel numero degli esemplari e dall’altra viene allevato, imprigionato, umiliato, venduto a pezzi e mostrato come trofeo. Bastano pochi numeri per farsi un’idea: il grande felino, che ora sopravvive solo nel 10% del suo areale storico, nell’ultimo secolo ha subito un collasso del 90%, passando dai 200 mila individui ai 20 mila (scarsi) di oggi.
I MOTIVI SONO DIVERSI: degrado degli habitat, difficoltà di convivenza con la popolazione locale, bracconaggio, commercio illegale. A tutto ciò si è aggiunta, nell’ultimo periodo, la situazione pandemica mondiale, un vero colpo di grazia per la specie che, già sparita in ben 26 paesi africani, potrebbe correre veloce verso l’estinzione totale. A mostrarlo la recente indagine condotta in 19 Paesi dell’Africa da Iucn, World Commission on Protected Areas, in collaborazione con l’African Wildlife Foundation, che ha analizzato gli impatti sulle attività svolte normalmente nelle aree protette: dagli interventi di tutela della biodiversità alle operazioni necessarie a garantire la sicurezza dei territori, dalle attività economiche in grado di generare introiti, alla collaborazione con gli stakeholders e le comunità locali.
L’INDAGINE HA EVIDENZIATO COME la pandemia abbia fatto crollare le risorse finanziare, mostrando la quasi totale dipendenza degli introiti a sostegno delle aree protette dai turisti provenienti da paesi esteri. Il turismo naturalistico in Africa si svolge in gran parte nell’area di Soknot, (acronimo di Southern Kenya – Northern Tanzania) un enorme territorio (più esteso della Grecia) dove si trovano i parchi più famosi nel mondo come Masai Mara, Amboseli, Kilimangiaro e Serengeti, e dove genera una cospicua entrata economica: prima della pandemia le aree protette ricevevano circa 8 milioni di visitatori l’anno. Ora però è tutto fermo. Un caso emblematico è quello della Namibia che nel 2019 ha ricevuto circa 1,7 milioni di turisti stranieri e dove la pandemia ha bloccato del tutto questo flusso di visitatori congelando l’economia locale.
LA PANDEMIA HA INOLTRE MESSO IN CRISI il lavoro dei ranger che svolgono un ruolo chiave nel mantenere l’equilibrio tra la componente naturale e quella umana, tutelando e gestendo le risorse naturali, moderando le interazioni dell’uomo con la natura e fungendo da deterrente alle attività illegali nelle aree protette. Tra l’altro i ranger, grazie ai loro servizi, contribuiscono a ridurre la probabilità di future pandemie di origine zoonotica, svolgendo un servizio sanitario di rilievo planetario.
IN AGGIUNTA HA RESO LA LOTTA contro il bracconaggio, la deforestazione, la raccolta illegale dei prodotti non forestali e altri crimini ambientali molto più difficile. In alcuni paesi, le attività sono state ridotte significativamente a causa dei tagli al personale e della riduzione dei budget riservati alle attività sul campo; anche l’accesso limitato ai dispositivi di protezione individuale ha influito negativamente sull’operatività dei ranger, mentre in molti casi il personale adibito alle operazioni di controllo è stato riassegnato ad altri servizi mirati a controllare la diffusione dell’epidemia. Tutto ciò si è velocemente tradotto, come evidenziato dagli stessi ranger, in un incremento della caccia di sussistenza verso le specie selvatiche e di attività illecite di deforestazione e distruzione degli habitat.
PER CERCARE DI ARGINARE QUESTA DERIVA il Wwf ha lanciato la campagna SOS Leone con l’obiettivo di sostenere il programma globale per salvare i grandi felini del pianeta e di raddoppiare entro il 2050 il numero dei leoni che vivono in natura nell’area di Soknot. Questo territorio inietta ogni anno 3,2 miliardi di dollari nelle economie del Kenya e della Tanzania fornendo circa 3 milioni di posti di lavoro e 10 milioni di dollari alle aree protette.
«IL PROGETTO – SPIEGA ISABELLA PRATESI, direttrice del Programma di Conservazione del Wwf Italia – aiuterà il Wwf a fornire ai ranger l’equipaggiamento per combattere il bracconaggio, a donare agli allevatori lampade solari che allontanano i leoni dalle loro mandrie, evitando così che vengano uccisi per vendetta. Il Wwf potrà inoltre finanziare la ricerca sul campo per censire i nuclei superstiti dei leoni e collaborare con enti e aree protette a trovare le soluzioni più efficaci per salvare questa specie». La campagna, partita il 9 maggio, prevede la possibilità di fare, entro il 23 dello stesso mese, una donazione al 45585 con SMS o chiamata da rete fissa
MA I LEONI SONO ATTACCATI anche su un altro fronte. Quello dell’allevamento in cattività. Succede in Sudafrica dove questi animali sono allevati per essere sfruttati in ogni fase della loro vita: i cuccioli strappati alle madri per essere coccolati da inconsapevoli turisti paganti; gli adulti trasformati in bersaglio per far divertire altri turisti a caccia di macabri trofei o per vendere le loro ossa che, soprattutto sul mercato orientale, sono spacciate al mercato nero come ossa di tigre (animale sempre più protetto e quindi difficile da commercializzare) e utilizzate come ingredienti per medicine o alimenti che vantano proprietà miracolose.
NE E’ UN ESEMPIO IL «VINO DELLE OSSA di tigre», rinomato per le sue proprietà, rinvigorenti, antireumatiche e afrodisiache. Insomma un bel giro di affari sulla pelle (è proprio il caso di dirlo) del più regale dei felini. Secondo l’ong Born Free si pensa che in Sudafrica ci siano più di 300 strutture che detengono 10 mila o più leoni allevati in cattività. Ma per fortuna qualcosa si muove, anche grazie alle campagne internazionali realizzate dalla stessa Born Free e da altre ong che da anni si battono su questo fronte. E’ dei primi di maggio, infatti, la notizia che le autorità sudafricane hanno finalmente deciso di mettere fine all’ orribile pratica.
IL MINISTRO SUDAFRICANO DELLE FORESTE, della pesca e dell’ambiente, Barbara Creecy, ha pubblicato un rapporto firmato da un gruppo di esperti e scienziati dove si raccomanda vivamente al Sudafrica di vietare questa pratica. Una vera svolta secondo le ONG. «Un nuovo futuro, più rispettoso della fauna selvatica», ha commentato Will Travers Obe, co-fondatore e presidente esecutivo di Born Free. «Congratulazioni al ministro per aver tracciato una linea netta su un problema che ha a lungo rovinato la reputazione del Sudafrica», ha aggiunto Mark Jones, responsabile della policy della stessa Organizzazione.
GLI FA ECO NEIL GREENWOOD, DIRETTORE regionale di IFAW Southern Africa. «E’ arrivato il momento di festeggiare», ha affermato. «L’allevamento in cattività e la caccia in scatola dei leoni è uno dei peggiori abusi sul benessere degli animali dei tempi moderni. Ci sono voluti più di 20 anni di campagna elettorale e la morte cruenta di migliaia di leoni perché il governo sudafricano finalmente cambiasse rotta».
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