Sorpresa Iraq: vince al-Sadr
Parlamentari Un iracheno su due non vota. Seconde le milizie sciite filo-iraniane, solo terzo il premier al-Abadi che apre all’alleanza con i sadristi e i comunisti. Risultati specchio della frustrazione per ingerenze esterne, povertà e settarismi
Parlamentari Un iracheno su due non vota. Seconde le milizie sciite filo-iraniane, solo terzo il premier al-Abadi che apre all’alleanza con i sadristi e i comunisti. Risultati specchio della frustrazione per ingerenze esterne, povertà e settarismi
Sorpresa in Iraq: la strana alleanza sadristi-comunisti ha vinto le parlamentari La coalizione Sairoun («In cammino insieme») guidata dal leader religioso sciita Moqtada al-Sadr è primo partito.
Segue la coalizione Fatah («Conquista»), raggruppamento delle unità di mobilitazione popolare, ovvero le milizie sciite filo-iraniane. Solo terzo il favorito, il premier uscente al-Abadi, che ora si dice pronto a collaborare con il vincitore per formare un governo stabile.
Le urne danno uno spaccato dell’Iraq a 15 anni dall’invasione statunitense e a quattro da quella dello Stato Islamico. Il popolo iracheno è stanco, spossato: solo il 44,5% degli iracheni è andato a votare, tantissimi quelli che hanno boicottato il voto come atto politico. E chi lo ha fatto ha scelto la rottura con un passato/presente di corruzione e incapacità politica.
A uscire sconfitta è la leadership del post-Saddam, quella che ha ingurgitato miliardi di dollari destinati alla ricostruzione e che ha spaccato il paese lungo linee etniche e confessionali, accendendo lo scontro tra sciiti, sunniti e curdi. A vincere sono coloro che hanno offerto un’alternativa, militare le milizie sciite, politica al-Sadr.
Da anni, accantonato l’Esercito del Mahdi, protagonista della resistenza sciita all’occupazione Usa, ha vestito i rassicuranti panni del leader nazionale, anti-settario, attento alle condizioni sempre peggiori della classe operaia e delle fasce più povere della popolazione. Da cui l’alleanza con una forza centenaria, laica e marxista, il Partito Comunista iracheno.
Ieri la commissione elettorale ha reso noti i risultati parziali del voto: con 54 seggi su 329 Sairoun è in testa, seguito da Fatah con 47 e la lista Nasr («Vittoria») di al-Abadi con 42. Al quarto posto il suo predecessore, Nouri al-Maliki, considerato il principale fautore delle divisioni interne e della marginalizzazione della comunità sunnita (e la conseguente ribellione nelle province occidentali). I sadristi si sono presi Baghdad, la capitale, dove il premier è solo quinto. Le milizie sciite prevalgono invece nel sud del paese, nelle città sciite di Bassora e Kerbala.
Nessun vincitore assoluto, condizione che apre a necessarie alleanze: le ha paventate già ieri al-Abadi, che resta comunque popolare in tutto il paese. Il primo ministro si è detto pronto a cooperare con il primo partito: è probabile che resti a ricoprire la carica di premier, con l’appoggio indispensabile di sadristi, comunisti e liberali e un programma di sostegno al lavoro e di lotta alla corruzione.
Ma le elezioni hanno effetti importanti anche sullo scacchiere regionale: preda delle potenze vicine, l’Iraq trasuda frustrazione per le ingerenze esterne che lo hanno massacrato.
È stanco della longa manus americana come di quella iraniana: al-Sadr, seppur sciita, non è un filo-iraniano (a nessuno è sfuggita lo scorso anno la visita al principe saudita Mohammed bin Salman a Gedda). Stesso dicasi per al-Abadi, capace di difficili equilibrismi e di mantenere a distanza sia Washington che Teheran, tanto da essere visto di buon grado da entrambi.
Allo stesso tempo, però, è stata premiata la compagine filo-iraniana guidata da al-Amiri, quelle milizie a cui il popolo iracheno riconosce un fondamentale ruolo nella liberazione dall’Isis, legate a doppio filo alla Repubblica islamica: armate e addestrate dalle unità di élite delle Guardie Rivoluzionarie, sono state direttamente gestite dal potente generale iraniano Suleimani. Non è dunque detto che i secondi arrivati non tentino «il colpo di mano»: unità popolari insieme ad al-Maliki.
Di certo ci vorrà del tempo per mettere insieme i 165 seggi necessari a formare una maggioranza. Senza dimenticare il Kurdistan iracheno: secondo i dati parziali, primo partito è il Kdp di Barzani con 25 seggi, secondo il Puk di Talabani con 15 e terzo, con 6, l’opposizione di Gorran. Che già denuncia irregolarità nei distretti curdi.
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