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Sorelle Fontana, nascita di uno stile

Sorelle Fontana, nascita di uno stilePh. Manuela De leonardis

Mostra «Italia Cinquanta. Moda e design. Nascita di uno stile», a Roma

Pubblicato più di un anno faEdizione del 5 agosto 2023

Roma. Il tripudio di crêpe de chine, taffetà, velluti di seta, organze, shantung, rasi colorati e ricamati dalle diverse tonalità conferiscono agli abiti un carattere ben definito, talvolta volubile come certe signore per cui furono disegnati e cuciti su misura dalle Sorelle Fontane. «L’abito d’alta moda è molto personalizzato» spiega Roberta Giusti Fontana, figlia di Giovanna (1915-2004) la più piccola delle Sorelle Fontana che insieme a Zoe (1911-1979) e Micol (1913-2015) creò la celebre casa di moda. Tutte insieme compaiono in diversi ritratti fotografici, tra cui quelli scattati da Arturo Ghergo negli anni Cinquanta. Nel ’36, seguendo la maggiore, avevano lasciato Traversetolo (il loro paese d’origine nella provincia di Parma) alla volta di Roma con in mano il mestiere che avevano imparato dalla loro mamma Amabile. In un documentario prodotto dalla Rai è la stessa Micol, autrice del romanzo autobiografico Specchio a tre luci (1991) a cui s’è ispirata la miniserie televisiva Atelier Fontana – Le sorelle della moda (2011) a dare una versione della loro avventura, ricordando come dopo la quinta elementare si fossero messe a cucire «perché studiare era un lusso troppo grande».

La mamma era sarta e vestiva le contadine del paese «facevamo la prova dei vestiti dopo la messa delle 5 del mattino, di domenica, le clienti venivano da noi a provare i vestiti, avevo dieci anni sì e no. Mia mamma mi faceva puntare gli orli, certo non mi faceva fare le maniche. È stata mia sorella Zoe a dire che se volevamo fare qualcosa d’importante saremmo dovute andare in una città più grande e noi fummo tutte d’accordo.» Alla stazione ferroviaria, non sapendo se andare a Milano o nella capitale, decisero di prendere il primo treno in arrivo. «È passato il treno per Roma.» Nel ’43 si misero in proprio aprendo prima una casa-laboratorio e subito dopo un atelier nel palazzetto aristocratico di via Liguria dove a fare le pubbliche relazioni era soprattutto la portiera, la cui figlia era una loro lavorante. All’insegna della semplicità, le Sorelle Fontana crearono un vestito adatto per tutti gli usi, conquistando subito le nobili romane e le signore dell’alta società per poi ampliare l’orizzonte oltreoceano.

Nel ’49 per la «favola del secolo» – il matrimonio di Linda Christian e Tyron Powell celebrato a Roma nella basilica di Santa Francesca Romana – realizzarono l’abito nuziale bianco con il pizzo ricamato che finì sulle prime pagine delle testate di tutto il mondo. Con un pezzo di stoffa avanzato venne cucito l’abito della bambola esposta su una mensola, nella sede della Fondazione Micol Fontana in via San Sebastianello, accanto a piazza di Spagna, dove l’atelier si trasferì nel 1957. «Zia Micol divenne molto amica di Linda Christian, è lei la madrina di Romina Power. Abbiamo delle cartoline di Linda e Tyron spedite dal Marocco dove lui girava La rosa nera e da altri luoghi. Linda dipingeva è suo il ritratto di mia zia e quando vide la bambola di porcellana con il vestito che mia nonna aveva fatto con un pezzo del suo abito da sposa volle dipingerla», ricorda Roberta Giusti Fontana.
Nel ’51 le creazioni delle Sorelle Fontana sfilarono nella Sala Bianca di Palazzo Pitti, in quello che fu l’evento che sancì la nascita ufficiale della moda italiana. «L’essere sorelle è stata la loro grande forza», anche il legame con la loro terra fu fondamentale. «A casa s’è sempre mangiato emiliano, di tutte le sorelle l’unica che sapeva cucinare era mia madre. Nella villa a Saxa Rubra erano famose le sue merende di torta fritta, i tortelli di zucca… da Parma arrivavano grandi pacchi con il burro e la zucca e lei cucinava per amici, parenti, giornalisti. Tutte e tre le sorelle parlavano in dialetto strettissimo, soprattutto quando litigavano».

Un’altra amica di famiglia era Ava Gardner che spesso si metteva a cucinare tra una prova d’abiti e l’altra. «Faceva un pollo fritto tremendo, pieno di peperoncino.» Per l’attrice statunitense dal grande sex appeal le Sorelle Fontane realizzarono anche l’abito da sera che indossa nel film La contessa scalza del ’54 (donato da Micol Fontana alla collezione del Brooklyn Museum Costume oggi al MET-Metropolitan Museum of Art di New York) e altri vestiti per le scene de Il sole sorge ancora e La Bibbia. Celebre, poi, il modello «pretino» indossato da Ava Gardner per la collezione autunno/inverno 1955/56 («linea cardinale»), perfetta sintesi di sacro e profano, che suscitò non poco clamore. Sull’abito attillato che ricorda le linee delle tuniche dei seminaristi con il colletto ecclesiastico, completato dal copricapo da monsignore con nappe, la catena con la grande croce perde la sua valenza di oggetto religioso per diventare gioiello iconico, antesignana di quelle che avrebbero indossato anni dopo Madonna e Lady Gaga. Nel film La Dolce Vita (1960) Anita Ekberg porta un abito molto simile, creato ad insaputa delle Sorelle Fontana che evidentemente avevano avuto un’acutezza assolutamente non convenzionale.
«Zia Zoe diceva sempre che il camerino è un confessionale dove la donna entra e vuole uscire bellissima.» Certamente è una dote che non mancava a molte delle celebrità, tra teste coronate e star di Hollywood e Cinecittà, che varcarono la soglia di via San Sebastianello n. 6: Audrey Hepburn, Elizabeth Taylor, Marilyn Monroe, Grace Kelly, Rita Hayworth, Soraya, Margaret Truman, Maria Pia di Savoia, Marella Agnelli, Angelita Trujillo… Ascoltare le storie e gli aneddoti che le riguardano è affascinante, tanto più in presenza dei capi originali. protagonisti essi stessi. «I vestiti non muoiono mai, hanno una loro storia che continua».

È capitato anche che, una volta, le Sorelle Fontana aprendo la porta dell’atelier si trovassero vis-à-vis con il presidente John Fitzgerald Kennedy e la consorte Jackie: lei aveva le idee chiare ma lui, comunque, non lesinò consigli sulle mise da scegliere per le diverse circostanze. «La moda si fa con gli spilli, con l’ago» afferma ancora la figlia di Giovanna Fontana. Anche lei fa parte della Fondazione Micol Fontana, associazione no-profit istituita nel 1994 e dichiarata dal Ministero della Cultura di «notevole interesse storico» con i suoi oltre 300 abiti, insieme ad accessori, memorabilia e documenti cartacei e fotografici dal 1940 al 1990, mentre oltre seimila disegni sono stati donati all’archivio storico del CSAC – Centro Studi e Archivio della Comunicazione dell’Università di Parma. «Cos’è di moda? Quello che ti dona, diceva zia Micol».

Creazioni delle Sorelle Fontana sono esposte nella mostra «Italia Cinquanta. Moda e design. Nascita di uno stile», a cura di Carla Cerutti, Enrico Minio Capucci e Raffaella Sgubin, promossa e organizzata da ERPAC FVG (Ente Regionale per il Patrimonio Culturale del Friuli Venezia Giulia) – Museo della Moda e delle Arti applicate di Gorizia nelle sale di Palazzo Attems Petzenstein, Gorizia (fino al 27 agosto).

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