Sopravvivere ai propri padri nell’inquietudine del nuovo Maghreb
INCONTRI Parla lo scrittore tunisino Ali Bécheur che presenta a Bookcity il suo romanzo «Il domani di ieri» (Brioschi). «Il nostro populismo assume la forma del tradizionalismo religioso», spiega l’autore
INCONTRI Parla lo scrittore tunisino Ali Bécheur che presenta a Bookcity il suo romanzo «Il domani di ieri» (Brioschi). «Il nostro populismo assume la forma del tradizionalismo religioso», spiega l’autore
«Il nostro passato determina il nostro presente che a sua volta influisce sul futuro: oggi è ieri e al tempo stesso dopodomani. Ecco perché, per capire un Paese c’è bisogno di conoscerne la storia». Questa premessa metafisica di Ali Bécheur si rende necessaria per spiegare il titolo del suo libro Il domani di ieri (Brioschi, pp. 240, euro 18, traduzione di Elisabetta Bartuli), che verrà presentato dall’autore a Bookcity sabato 16 novembre alle 14,30 al Castello Sforzesco. Il romanzo è ambientato in Tunisia, Paese d’origine dell’autore. Due le linee narrative: quella del padre, che ha combattuto per l’indipendenza dalla Francia, e quella del figlio che non riesce a reggere il confronto con l’esempio genitoriale, così come tanti tunisini. «I giovani di oggi sono nati dopo l’indipendenza, non conoscono la durezza della lotta per la sovranità nazionale. Per la maggior parte di loro, la principale preoccupazione non è servire il Paese, ma trovare un “posto al sole” per non scivolare al di sotto della soglia di povertà, condizione che riguarda più di un milione di tunisini (su 11, ndr)», spiega Bécheur.
Qual è il maggiore problema tra le generazioni in Tunisia?
Credo sia il cambiamento culturale e, di conseguenza, quello valoriale. Le vecchie generazioni consideravano essenziali il lignaggio urbano (in opposizione alla realtà rurale), il rispetto dovuto agli anziani, la dignità, l’educazione, la generosità, e – non da ultimo – la famiglia. I giovani di oggi considerano tutto ciò obsoleto. Vivono nell’epoca della tv, di internet, dei selfie, delle auto di lusso. Dell’ostentazione. Ma, come direbbe Spinoza, «Non ridere, non piangere, non giudicare: capire».
C’è conflittualità anche tra i due protagonisti del suo libro, Omar e Ali. Lei che rapporto aveva con suo padre?
Lui era una quercia, ma all’ombra di alberi ad alto fusto non cresce nulla. Me ne andai a Parigi per continuare gli studi, per poter crescere, per diventare quello che sono, e non solo il figlio di mio padre. Immergermi in un’altra cultura, vivere in un’altra società, mi ha permesso di capire meglio la mia. Mi ha fatto toccare con mano il divario sociale e sono riuscito ad assorbire altri valori, l’uguaglianza e la necessaria solidarietà senza la quale non c’è cittadinanza.
Quanto somigliano a lei e a suo padre i due protagonisti?
Quando mio padre morì, nel 2008, mi resi conto che non sapevo nulla di lui, della sua infanzia, della sua adolescenza, della sua maturità. Così, ho scritto questo romanzo per dargli un’altra vita: l’ho sepolto sotto le parole (come ricorda nella citazione da Chateaubriand che si trova all’inizio del romanzo, ndr). Quanto al figlio, Ali sono io non più di quanto Marcel de La ricerca del tempo perduto sia Proust. Insomma, è la mia creatura, ma resta altro da me.
«Il domani di ieri» è anche un romanzo storico.
I riferimenti alla Storia sono necessari per comprendere le sorti di un popolo. Ciò detto, non sono uno storico, non consulto archivi: disegno le storie nella mia mente. Prendo alcuni fatti realmente accaduti per scandire il tempo e mostrare le vite dei personaggi, che sono intrecciate con la storia del Paese.
Che momento è per la Tunisia?
Un momento in cui c’è bisogno di un piano sociale efficace per aiutare gli indigenti. Un momento in cui il populismo s’insinua, in forma diversa che in Europa: qui indossa le vesti del tradizionalismo, del conservatorismo religioso. Di Ennahda (Movimento della Rinascita, partito politico di orientamento islamista, ndr).
La preoccupano le parole del nuovo presidente della Repubblica sulla pena di morte e i diritti della comunità Lgbt?
L’opinione di Kais Saied è solo sua. Sappiamo che è un conservatore e alcuni sostengono che sia un reazionario. Ma in ogni caso, in una democrazia parlamentare come la Tunisia, il Presidente della Repubblica ha poco potere: rappresenta lo Stato mentre spetta al Parlamento il compito di legiferare. Quindi, indipendentemente dalle convinzioni di Saïed (soprannominato «Robocop»), la realtà è che in Tunisia esiste un’associazione di omosessuali e un’associazione di atei, entrambe legalmente riconosciute.
Tra poche settimane si voterà anche in Algeria ma la piazza spinge già per rovesciare il regime. Cosa accade al di là del Mediterraneo?
La situazione in Algeria è ancora molto incerta. Spero che alla fine prevalga la democrazia senza spargimenti di sangue. Tuttavia, il Maghreb non è un’entità omogenea, né in termini di territorio né in termini di popolazione: la Tunisia, che è il più piccolo dei tre paesi dell’area, è una democrazia, le elezioni sono libere e trasparenti con l’ammissione di tutti gli osservatori stranieri, compresi quelli della Cee, mentre l’Algeria è attualmente governata dall’esercito e il Marocco è una monarchia assoluta. Perciò, sarebbe interessante interrogarsi su cosa può fare l’Europa per i Paesi al di là del Mediterraneo: finanziare la democrazia e favorirne l’avvento. Condividiamo lo stesso mare, avremmo tutti da guadagnare da questo.
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