Registrato ad Amnes, remota località norvegese – lastre nuvolose marmoree su pelaghi di neve,boccate di luce che fa il suo giro, ma gelida, crepuscolare – Diversions Vol. 1. Softly Through Sunshine, l’ultimo disco dei Kanaan (ma è stato rilasciato un nuovo singolo, Amazon, ft. Hedvig Mollestad, una cosa à la Kyus, ad annunciare il prossimo ep, tre brani di puro stoner) ne porta addosso i segni: aurorale, in alcuni punti rarefatto, in altri intricato, ebbro di notte alcolica.

Lo spettro dei supporti presentato dall’etichetta Jansen Records è il solito: vinile, cd, files in estensione flac, aiff ecc.; ma spicca la versione limitata a cento copie del vinile in uno splendido ocra, andato esaurito già pochi minuti dopo la sua messa in vendita. Del resto la differenza tra il digitale e il vinile si nota subito, qui più che in altri dischi: il suono del file resta piatto, lontano – appannaggio, assaggio delle bocche degli accrocchi da cui esce, che sembrano rimasticarlo e tenerlo lì, questo bolo musicale, a venti o trenta centimetri dagli altoparlanti – a differenza di quello del vinile che è tridimensionale, avvolgente, espanso nello spazio. Ma come sempre molto dipende dalla strumentazione che si usa, partendo dal presupposto che un disco come questo – frastagliato, e con non troppe distorsioni di chitarra – si presta al calore delle valvole (magari le 300B), quegli alambicchi in cui i suoni sono come cucinati, fatti ribollire, vaporizzati prima che l’amplificatore li mandi (così incandescenti, vaporosi come effluvi d’oppio) ai diffusori.
Rispetto alle sorgenti, pare che i circuiti degli ultimi convertitori digitali (DAC) e dei lettori di files, raggiungano risultati eccezionali in quanto a tridimensionalità e dinamica.Vedremo: magari ne parleremo ancora.

INTANTO Diversions vol. 1 crepita di armonie e acidità inveterate. Si tratta per lo più di improvvisazioni incise nell’arco di cinque giorni con la collaborazione (decisiva) dell’organista Havard Ersland, che passano dalla musica cosmica – intrisa di elettronica ambientale – alla psichedelia, al prog, al jazz, fino a echi di pietraia, uno stoner che però resta allo stadio iniziale.
Il prologo è elettronico, Voyaging: risuonare minerale, asteroideo che poi si fa psichedelia, picco di batteria, di basso e degli indiamenti dell’organo Hammond a sondare e creare ambagi, misteri spaziali (come comete che lasciano scie sullo sfondo scuro maculato universale) fino a rif e assoli ispidi, rauchi di chitarra confinanti con concrezioni calcaree, sedimenti rocciosi, stoner appunto. Segue il movimento largo, estatico di Softly Through Sunshine, come acquatico, lentamente gocciante attraverso arpeggi estemporanei di piano e contrappunto terraneo, vegetale di chitarra; e poi la frenesia a passo d’acid-jazz di Hyperstate che esorbita di dissonanze e asperità tra tom forsennati, chitarre ebbre, in deliquio da fumo e ruminare sotteso, sporadico di organo.

Immanence (vera ipnosi, liturgia di ripetizioni in cui il piano lascia presagire lontananze siderali) e Cab Light Rocket (eco, flautato, sintetico) riportano la partitura ad arabeschi armonici, aurorali, retrò; arrangiamenti densi di arpeggi, tra chitarre e Hammond, tra musica cosmica e prog, con alcune dissonanze che, nella fuga folle, sfrenata di prima, vi s’erano perse.
Disco imperdibile, almeno quanto gli ultimi degi Gnoomes e dei Trees Speake o dei Motrik, a dimostrazione che l’ambito della musica cosmica e kraut-rock, è più vitale che mai, ed essenziale per una sperimentazione che alla fine riporta a un’armonia elementare.