Sonia Levy, una passione per i coralli
Cristalli liquidi Nel 2017 l’artista francese Sonia Levy frequenta il piano interrato dell’Horniman Museum and Gardens, una collezione londinese di antropologia e storia naturale risalente all’era vittoriana...
Cristalli liquidi Nel 2017 l’artista francese Sonia Levy frequenta il piano interrato dell’Horniman Museum and Gardens, una collezione londinese di antropologia e storia naturale risalente all’era vittoriana...
Nel 2017 l’artista francese Sonia Levy frequenta il piano interrato dell’Horniman Museum and Gardens, una collezione londinese di antropologia e storia naturale risalente all’era vittoriana. Qui segue – e filma – da vicino Project Coral, esperimento scientifico condotto da biologi marini e acquaristi che allevano coralli Acropora in cattività. Tentano di ricostituire le condizioni ambientali della Grande Barriera Corallina in vasche e mesocosmi, ambienti confinati e controllati di cui si possono variare i parametri; progettati su misura, riproducono i cambi di temperatura stagionali, l’irradiazione solare e i cicli lunari. Jamie Craggs, che guida il progetto, cerca così un modo per salvare i coralli dall’estinzione antropogenica. Quello dei coralli ex situ o coralli da laboratorio, fertilizzati in vitro sin dal loro stato embrionale, è un assemblaggio multispecie di umani e non-umani. Un modello di ecologia del sensibile che riprende una delle intuizioni fondamentali dell’ecologia scientifica. Nel 1927 Charles Sutherland Elton scriveva: «È comune parlare di un animale come di un essere vivente in un certo ambiente fisico e chimico, ma bisognerebbe sempre ricordarsi che, in senso stretto, non possiamo dire esattamente dove finisce l’animale e dove comincia l’ambiente».
A incuriosire Levy è anche un altro aspetto: il processo adottato e i risultati ottenuti dal laboratorio criticano l’impostazione stessa della collezione del museo ospitante. In linea coi musei di scienze naturali occidentali, la collezione si adegua infatti a una divisione tassonomica volta a far ordine nel vivente, a includerlo all’interno di una categoria di cui il museo è la traduzione spaziale. Un posto per ogni specimen e ogni specimen al suo posto, isolato dal suo ambiente. Quanto avviene nel seminterrato rimette in causa la tendenza a classificare la natura come se si potessero coglierne le leggi universali. Si tratta, al contrario, di ripensare il ruolo della natura negli spazi d’esposizione museale, di praticare la curatela come caring per il vivente, nonostante l’ambiente del laboratorio scientifico, climatizzato e al riparo dalla luce naturale, sembri fedele a una fredda oggettività attenta solo alla produzione di dati. In un sotterraneo londinese si ricreano così le condizioni della Grande Barriera Corallina australiana.
L’alone bluastro si alterna alle lampade frontali rosse indossate dagli scienziati per osservare i coralli generarsi durante la notte, come nell’ecosistema marino al fine di sfuggire ai predatori. Luogo deputato dell’impresa scientifica, questo laboratorio è anche lo spazio intimo e affettivo in cui mondo dei coralli e mondo degli umani s’incontrano, sviluppando una sorta di epistemologia poetica, di elegia per i coralli cui lo sguardo di Levy è sensibile. For the Love of Corals è stato esposto in Critical Zone. Observatories for Earthly Politics, l’ultima grande mostra organizzata da Bruno Latour allo ZKM di Karlsruhe, nella sezione «We live inside Gaia». Un contesto idoneo perché il lavoro di Levy si lega all’ultima fase della ricerca di Latour gravitante attorno a Gaia e al Nuovo regime climatico. Non a caso l’artista ha frequentato nel 2016 lo SPEAP, il programma sperimentale in arti politiche di SciencesPo ideato dallo stesso Latour. Ma For the Love of Corals è doppiamente latouriano in quanto si allaccia all’atto fondativo della sociologia della scienza della fine degli anni settanta, quando Latour e Steve Woolgar si recano in un laboratorio dell’Istituto Salk di San Diego in California. Qui indagando la costruzione sociale e culturale dei fatti scientifici, il modo in cui avvengono le scoperte (Laboratory life, 1979). Allora si trattava di neuroendocrinologia, oggi di una coltivazione corallina.
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