Solo schiaffoni per l’Italia in affari con l’Egitto
Patrick Zaki, Giulio Regeni e non solo L'ipocrisia dell'Ue, il cinismo di Macron, le fregate italiane vendute al Cairo e l'autolesionismo del nostro governo. Perché mai Al Sisi dovrebbe cedere alle "pressioni"?
Patrick Zaki, Giulio Regeni e non solo L'ipocrisia dell'Ue, il cinismo di Macron, le fregate italiane vendute al Cairo e l'autolesionismo del nostro governo. Perché mai Al Sisi dovrebbe cedere alle "pressioni"?
L’ipocrisia dei governi europei sui diritti umani ormai è nauseabonda. Con il prolungamento di 45 giorni della carcerazione di Patrick Zaki nella prigione speciale di Tora sono arrivati tre schiaffoni.
Il primo ce lo ha dato come al solito il generale Al Sisi, che non cede sul processo ai responsabili dell’assassinio di Giulio Regeni e ora neppure sulla liberazione dello studente cristiano copto. Il secondo lo ha assestato Macron che ricevendo ieri il presidente egiziano ha detto che non condizionerà le vendite di armamenti all’Egitto alla questione dei diritti umani. La terza sberla ce la diamo noi italiani, tutti i giorni, confermando i rapporti d’affari con il Cairo, forniture di armi comprese.
Di fronte all’insipienza europea si è probabilmente rivelato più efficace l’appello della star del cinema Scarlett Johansson: in un video che ha fatto il giro del mondo aveva chiesto la scarcerazione di tre dirigenti dell’Ong egiziana per cui lavorava anche Zaki, poi rilasciati la scorsa settimana. Un gesto interpretato dai rabdomanti della diplomazia come un segnale di «buona volontà» di Al Sisi. Come no.
L’Europa e l’Italia proclamano che i diritti umani sono fondamentali e il Consiglio europeo ha approvato il 19 novembre un pomposo piano d’azione per i diritti umani e la democrazia 2020-2024 che già si rivela nei fatti aria fritta. Quando si tratta di sanzionare concretamente i regimi mediterranei, da quello egiziano alla Turchia, nessuno muove un dito.
La Francia ha superato persino gli Stati uniti e la Russia come principale fornitore di armamenti del dittatore egiziano. Da quando Al Sisi è salito al potere con un sanguinoso colpo di stato nel 2013 contro il governo dei Fratelli Musulmani del presidente Mohammed Morsi la Francia ha venduto 16 miliardi di euro di armi all’Egitto, tra navi da guerra, missili, cannoniere e caccia Rafale. Ma non basta. Nell’agosto 2013, dopo i massacri delle piazze Rabaa e Nahda del Cairo in cui morirono oltre mille persone, il numero più alto di manifestanti uccisi in una sola giornata nella storia moderna dell’Egitto, il Consiglio degli affari esteri dell’Unione europea decise, con l’unanimità degli stati membri, di sospendere l’esportazione in Egitto di forniture che avrebbero potuto essere usate per la repressione interna.
In realtà un rapporto di Amnesty International mette in evidenza che i blindati forniti da Parigi sono stati usati con esiti mortali dalle forze di sicurezza egiziane per disperdere ripetutamente e violentemente le proteste e stroncare il dissenso interno. Macron ha giustificato la repressione affermando che l’Egitto – dove ci sono 60mila prigionieri politici e sono state eseguite 50 condanne a more soltanto in ottobre – «lotta contro il terrorismo». Sarà poi da dimostrare che oltre a lottare contro il terrorismo non sarà proprio la repressione di Al Sisi, che non risparmia nessuno, a scavare un giorno la fossa a questo regime come già accaduto con Mubarak.
Prevale nei fatti l’appoggio alla «stabilità» del regime e la realpolitik: la Francia, che come il Cairo ha sostenuto in Libia il generale Khalifa Haftar, è alleata dell’Egitto contro la Turchia, insieme a Grecia, Cipro, Emirati e Israele, anche nella disputa sulle zone di sfruttamento del gas e le frontiere marittime nel Mediterraneo sud orientale. Una sorta di battaglia tra stati della vecchia Alleanza Atlantica e il SultaNato di Erdogan, ormai in cronica rotta di collisione con Macron sull’islam.
L’Italia si è accomodata in Libia con il protettorato turco in Tripolitania – dove ha appena firmato un accordo militare con il governo di Al Sarraj – e in concreto non dà mai neppure troppo fastidio ad Al Sisi. Anzi. È stata confermata la fornitura al Cairo di due fregate italiane che valgono 1,2 miliardi di euro e all’orizzonte ci sono opzioni per altre quattro fregate, venti pattugliatori, 24 caccia Eurofighter e altrettanti addestratori M-346. Una partita da 10 miliardi di euro. E poi c’è il gas, trovato dall’Eni nel mare egiziano nel giacimento di Zhor. A rendere il tutto più chiaro c’è pure la sponsorizzazione da parte dell’azienda statale Fincantieri del salone militare Edex, un diretto sostegno alla politica di Al Sisi nel Mediterraneo. Soltanto il rinvio dell’Edex all’anno prossimo, causa Covid, ha impedito che la faccenda venisse alla ribalta.
Ma perché mai Al Sisi dovrebbe cedere alle nostre “pressioni” per un processo Regeni? Quando persino l’ex premier Renzi difende il dittatore davanti alla commissione parlamentare d’inchiesta: o è meno furbo di quanto sospettassimo oppure è in malafede. E perché mai dovrebbe liberare Zaki, dietro le sbarre da 10 mesi, senza accuse in un carcere speciale definito «La Tomba» perché da lì raramente si esce vivi?
I dittatori del Mediterraneo ci mollano schiaffoni ma noi li prendiamo volentieri perché facciamo cassa con le vendite di armi e come Renzi sgraniamo gli occhioni stupiti. Alla faccia dei diritti umani, dei giusti processi e delle condanne morali.
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