C’è un disagio esistenziale e globale nel nuovo lavoro degli Stratovarius, che tornano dopo sette anni con Survive, album nostalgico e doloroso, che canta un anelito alla vittoria e alla sopravvivenza contemplando tuttavia un sentimento di sconfitta, esaltato e non dissimulato dall’epica e della retorica del «power metal», genere del quale la band finlandese suona dalle origini una mutazione favolosa, proponendone un’idea onirica e meno metallica.
Così suona strano il ritornello della canzone che da il titolo all’album e lo comincia «solo i forti sopravvivono», con i suoi cori sfarzosi che rimandano alla pomposità degli Europe (non è l’unico caso in quest’opera) perché ci vorrebbe la crudezza metallica dei primi Manowar per rendere il verso credibile, se non fosse che invece le strofe ci descrivono una situazione di solitudine, la disperata ammissione di un soccombente. Con Demand c’è la constatazione di un presente insostenibile e un invito a prendere una posizione condivisa e rivoluzionaria perché «questo è il tempo, questo è il luogo, abbiamo il potere, per unirci tutti, è la nostra ora», ma è come se la musica che accompagna le parole, con la sua ritmica relativamente distesa, non riuscisse a sostenerle. Assai più convinta suona invece Broken , uno dei migliori pezzi di Survive, con le sue preziose melodie, quelle che rimandano ai migliori Stratovarius del passato.Un album non subito appariscente proprio perché intimo, nato da anni di pensieri musicali, introspezioni, riflessioni su un presente opprimente.

CONVENZIONALE e persino «pop-rock» primi anni ’90 se non addirittura ’80 – c’è persino l’«occhio della tigre»- è invece Firefly, un pezzo da radio e commerciale ma riuscito sebbene dissociato dall’umore generale dell’album, riportato invece con le dichiarazioni di impotenza di We Are not Alone, anche questa forse bisognosa di un ritmo più urgente e di un’anima più metallara, così come la successiva e più ispirata Frozen in Time con il suo crescendo emozionale nel finale che esalta ancora la bellissima, voce di Timo Kotipelto . Poi c’è la rabbia ecologica di Our world is on Fire preludiante all’esaltante Glory Days che ostenta il meglio del concetto «power metal» degli Stratovarius. Break Away riporta un’armonica, triste lentezza con il suo andamento sinfonico, ma c’è tutto ciò che è amabile negli «adagio» degli Stratovarius con le loro accelerazioni innodiche, le sospensioni liriche. Ecco dunque il pezzo da stadio, Before the Fall, vertice dell’album.

IN CONCLUSIONE la lunga Voice of Thunder, una sintesi di tutto Survive, una critica e un’apologia di ciò che abbiamo ascoltato; solo dopo le ultime sue note possiamo comprendere, accettare e non dubitare del valore di quest’ultimo Stratovarius, un album non subito appariscente proprio perché intimo, nato da anni di pensieri musicali, introspezioni, riflessioni su un presente opprimente. Survive è quasi un’opera straordinaria nel panorama del «power o (pseudo)power metal» come gli ultimi album capolavoro degli Helloween e dei Blind Guardian, ma gli Stratovarius qui ribadiscono la loro unicità con una malinconica consapevolezza, che ammanta quest’opera di una cupa, sconsolata poesia anche quando più tende ad un’epica dell’affermazione e di una (im)possibile sopravvivenza.