Gli anni sono 73 ma – vedendolo sul palco o sulle copertine – sembra abbia fatto un patto con il diavolo. One man show a Broadway, rivisitazioni del repertorio dal vivo, un’autobiografia decisamente intrigante e ben scritta.

Evidentemente il rock’n’roll fa invecchiare molto bene… Bruce Springsteen si ripresenta a due anni di distanza da Letter to You, il disco di nuove canzoni inciso con la ritrovata E Street Band, con un album in parte inciso durante quelle session, in parte durante il lockdown con il suo fidato produttore e braccio destro Ron Aiello.

Un lavoro dallo spirito decisamente gaudente, pensato probabilmente come reazione ai tempi cupi di pandemia e di guerra che stiamo attraversando. Quindici cover scelte nello sterminato songbook del soul a cui The Boss si applica con intelligenza: non stravolge gli arrangiamenti originali, anzi talvolta rischia di sembrare fin troppo fedele agli originali, ma soprattutto sfoggia una voce e un pathos interpretativo da brividi.

Only the Strong Survive (Columbia Records/Sony Music, in uscita oggi) – il titolo – è anche quello di uno dei pezzi, scritto nel 1968 (e interpretato) da Jerry Buttler con l’aiuto dei due geniali autori come Kenny Gamble e Leon Huff.

La scaletta è tutta incentrata sulla memoria personale di Bruce, sono i suoi anni formativi.

«La prima volta che ho ascoltato musica soul? – spiega Bruce nel corso dell’unica intervista italiana rilasciata ieri ai microfoni di Virgin Radio – è stato quando ho iniziato a suonare. Ma probabilmente anche prima, ascoltavo i pezzi dalla radio che mia madre aveva in cucina. Ma lì passavano un po’ tutti i successi. La scoperta è arrivata quando suonavo nei locali, capitava che ti chiedessero di fare Soul Man piuttosto che Mustang Sally il venerdì sera, al ballo dei pompieri. E tu dovevi impararle, così come tutti i classici delle Supremes. Ecco, una vera e scuola di formazione…». Vero e Springsteen lo ha anche ribadito in passato, …«chiunque suonasse in un bar del New Jersey centrale negli anni ’60 e ’70 faceva soul».

Chiunque suonasse in un bar del New Jersey centrale negli anni ’60 e ’70 doveva eseguire quelle canzoni, classici come «Soul Man» o «Mustang Sally»

E CHE QUEI BRANI siano nel Dna del Boss, è chiaro quando lo si ascolta misurarsi con Soul Days di Doobie Gray o quando si modula – senza sfigurare con un classico come I Wish It Would Rain dei Temptations, che hanno fatto del falsetto un loro marchio di fabbrica indelebile.

E d’altronde Springsteen ha cantato (e scritto) a lungo con inflessioni soul. Ma non pesca esclusivamente nel canzoniere di standard noti – c’è una splendida e trascinante versione di Don’t play that song scritta nel 1962 da Ahmet Ertegun e Betty Neslson – che non sfigura affatto rispetto alla versione da mille e una notte di Aretha Franklin incisa nel 1971 e inserita nel Live at Fillmore West, ma riprende anche I Forgot to Be Your Lover di un grande ora un po’ dimenticato come William Bell.

Un gioco questo Only the Strong Survive che non si adagia sull’effetto retrò, ma suona come una vera e propria scossa elettrica.

Bruce Springsteen
Il mio obiettivo è permettere al pubblico moderno di fare esperienza della bellezza e gioia di queste canzoni, così come ho fatto io fin dalla prima volta che le ho sentite. Spero che amiate ascoltarle tanto quanto ho amato io realizzarle

IL SUO APPROCCIO con la musica, d’altronde, non è mai cambiato: «Sto facendo allo stesso modo di quando avevo 16 anni – ha spiegato ancora a Virgin Radio – Sto raccogliendo tutto ciò che ho, lo sto assorbendo e sto cercando di farlo diventare parte di quello che sono e di quello che faccio. E poi quando salgo sul palco cerco di restituirlo a chi mi viene a sentire, come fosse dinamite. Mi auguro sempre – attraverso le canzoni – di trasmettere le mie sensazioni a tutti voi. Credo che la musica possa fare tutte queste cose e penso che sia il mio lavoro».