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Solidarietà per gli emigranti, solidarietà per gli immigrati

Solidarietà per gli emigranti, solidarietà per gli immigratiEuropa – LaPresse

Pandemia I nuovi emigranti italiani perdono il lavoro in settori di rilievo. I Paesi Ue non devono escluderli sulla base della residenza ufficiale o del loro non inserimento nella previdenza locale. Così è necessario che in Italia gli aiuti previsti dai decreti in atto non escludano i lavoratori stranieri, compresi quelli impiegati al nero o in condizioni di irregolarità 

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 3 aprile 2020

Forse su questo non si è riflettuto abbastanza. Pochi hanno parlato dell’angoscia per un congiunto lontano da casa – studente, operaio precario, o impiegato parimenti precario – confinato in un alloggio piccolo e affollato.

Tra tanta solidarietà nazionale che abbiamo osservato – e soprattutto osservato decantare – è mancato uno sforzo di solidarietà interregionale. Non sappiamo se si poteva fare diversamente. E certo bisognava scoraggiare le partenze incontrollate Ma di certo potevano essere seguiti migliori e più umani criteri.

Con tutto ciò ben più grave è la situazione per gli italiani che stanno all’estero. Tra di loro c’è una componente di dimensione non esattamente stimabile (ma pari almeno a un milione di persone) costituita da quella che è definita solitamente “la nuova emigrazione italiana”. Si tratta di giovani (e meno giovani) a diverso livello di istruzione e qualificazione caratterizzati da una situazione analoga nel mercato del lavoro. Siano essi camerieri, commessi di attività commerciali, impiegati in istituti di ricerca, collaboratori di studi di archistar per loro la condizione precaria è la norma. E al lavoro precario regolato si aggiunge anche all’estero il lavoro nero.

La stragrande maggioranza di questi nuovi emigranti vivono in quattro o cinque paesi europei. E fino a tempi molto recenti hanno vissuto la loro esperienza migratoria come una sorta di emigrazione interna. Si partiva senza passaporto, si conosceva o si imparava presto la lingua. E il lavoro, per quanto precario, era migliore di quello che si poteva trovare a casa, ammesso che se ne trovasse qualcuno.

Le notizie che vengono da associazioni operanti nel campo dell’emigrazione mostrano invece un numero significativo di casi di perdita di lavoro in settori dove i nuovi emigranti italiani hanno una presenza di rilievo. Non si tratta solo della chiusura dei ristoranti ma ad esempio anche della intera filiera alimentare che in paese come la Germania occupa decine di migliaia di nuovi emigranti italiani. E ci sono situazioni analoghe nel commercio, nelle attività di servizio ed altro.

Naturalmente molti dei paesi destinatari della recente emigrazione italiana avranno messo in campo misure di sostegno ai lavoratori analoghe a quelle italiane. Ma ci sono seri problemi riguardanti l’effettivo accesso ai benefici. Innanzitutto ne sono esclusi i lavoratori al nero. In secondo luogo ci si scontra con le usuali limitazioni discriminatorie a livello burocratico.

Su questo esprime serie preoccupazioni, avanzando qualche proposta, il Cgie (Consiglio generale degli Italiani all’estero) chiedendo al governo italiano di «sollecitare gli stati membri della Ue a farsi carico dell’emergenza di tali situazioni» e di «assicurare la sussistenza dei lavoratori stranieri, a prescindere dalla loro residenza ufficiale e inserimento nel sistema previdenziale locale». E aggiunge la richiesta di agire direttamente per casi di «particolare delicatezza che possono riguardare fasce di popolazione non coperte dai welfare locali in paesi molto svantaggiati».

Ciò per quel che riguarda gli italiani all’estero. Ma a questa urgente esigenza di solidarietà ne corrisponde un’altra, parimenti urgente, nei confronti degli immigrati stranieri in Italia. È necessario che gli aiuti previsti dai decreti in atto non escludano i lavoratori stranieri: non solo quelli in condizione regolare (cosa prevista dalla legislazione italiana) ma anche quelli impiegati al nero o in condizioni di irregolarità. Il che corrisponde esattamente a quello che il Cgie chiede ai governi europei per gli emigrati italiani.

Forte eco ha avuto sui social la decisione del governo portoghese di procedere alla immediata regolarizzazione di tutti i lavoratori stranieri presenti nel territorio nazionale. La motivazione del governo portoghese ha posto in primo luogo la questione dei diritti umani e della salute. In più non va dimenticato – e va ribadito in caso di sordità delle istituzioni – la indispensabilità di questi lavoratori per la vita economica e sociale del paese. Di questo si sono resi conto in molti e molte voci si sono espresse in questo senso nel nostro paese.

Il manifesto ha dato notizia nell’articolo di Massimo Franchi dell’appello della Flai-Cgil che tra le altre cose chiede la regolarizzazione di tutti gli immigrati. E mai come ora un intervento di questo genere è al contempo urgente e possibile. Innanzitutto perché i lavoratori precari o al nero dell’agricoltura, e non solo, attualmente senza lavoro possano godere dei sussidi previsti per tutti i lavoratori dipendenti ma anche perché essi possano affrontare in condizioni di vita più decenti questa situazione.

Ci sono anche dei buoni passi avanti in questa direzione. Nei giorni scorsi diversi esponenti politici e governativi, in particolare la Ministra dell’agricoltura e il Ministro, per il Sud hanno proposto la regolarizzazione dei lavoratori immigrati stranieri presenti sul territorio italiano.

Non si tratta solo un fondamentale gesto umanitario, perché se le centinaia di migliaia di lavoratori (in nero) se ne vanno la filiera agricola e alimentare salta, come già sta saltando quella dell’assistenza familiare basata sulle badanti. E bisogna far presto prima che, passato questo momento di solidarietà, le proposte umanitarie e razionali abbiano la stessa sorte delle proposte sullo ius soli.

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