L’infanzia rubata. Questa è la realtà dei bambini-soldato. «Soldatini che ascoltano ordini e non favole, che non sognano perché dormono poco e combattono tanto. Non possiamo restare indifferenti al destino di questi bambini. Quel «fato» al quale spesso si sottraggono fuggendo, magari provando a raggiungere l’Europa dove vita, salute, libertà, educazione, benessere, scuola, sicurezza ambiente, svago, famiglia e gioco sono diritti acquisti che riempiono l’infanzia di gioia e colori», afferma Antonella Napoli, giornalista e scrittrice, esperta di questioni internazionali e africanista, insignita della Medaglia di rappresentanza della Presidenza della Repubblica per l’alto valore culturale delle sue opere e autrice del libro La luce oltre il buio (Edizioni All Around – euro 15) che racconta le storie di 34 bambini – soldato.

Napoli, ci sono delle statistiche che ci dicono quanti sono i bambini-soldato e in quali stati è maggiormente diffuso questo fenomeno?
Dal 2016 a oggi sono diciotto i Paesi nei quali, è stato documentato l’impiego di bambini-soldato in conflitti armati: Afghanistan, Camerun, Colombia, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, India, Iraq, Mali, Myanmar, Nigeria, Libia, Filippine, Pakistan, Somalia, Sudan, Sud Sudan, Siria e Yemen.

Attualmente secondo le stime delle Nazioni Unite sarebbero almeno 350 mila i bambini-soldato nel mondo. Solo nel 2022, più di 7.740 bambini, alcuni di appena sei anni, sono stati reclutati e usati come soldati in tutto il mondo. Nel 2023, l’ultimo rapporto delle Nazioni Unite, segnala quasi 8.600 casi verificati di reclutamento di bambini ma sottolinea anche come questo fenomeno sia fortemente sottostimato. L’età di questi bambini e bambine va dagli 8-9 anni in su, ma in alcuni casi sono stati reclutati, come dicevo prima, anche quelli di soli sei anni.

Nel libro racconta le storie di bambini africani strappati alle famiglie e costretti a impugnare le armi contro la loro volontà. Come avviene questo sfregio all’innocenza dei più piccoli?
Esistono due vie per il coinvolgimento dei minori nei conflitti, l’arruolamento e il reclutamento. Con il primo si presuppone ci sia un’adesione volontaria, il secondo indica la forma di incorporamento obbligatorio, ovvero la chiamata, la selezione e l’avviamento forzato alle azioni militari.

A prescindere dalle ragioni che spingono un minore all’arruolamento, in sostanza i due concetti coincidono e rappresentano una violazione dei diritti e uno sfregio all’innocenza dei bambini in egual misura. Alcuni vanno a morire e a uccidere ogni giorno, altri a immolarsi come kamikaze. Nessuno si innamorerà di una ballerina come nella favola del soldatino di piombo, ma alcuni si ritroveranno con una gamba sola pur essendo nati con entrambi gli arti.

Questo succede anche alle bambine?
Quasi la metà dei bambini-soldato censiti sono femmine. E sono vittime due volte perché oltre a essere costrette a combattere, uccidere, fare le spie vengono utilizzate anche come schiave sessuali.
Nel libro lei si chiede «Ma perché si preferisce reclutare un minore, anche molto piccolo, rispetto a un adulto?». Che risposta si è data, vista anche la sua esperienza in zone di guerra, specie dell’Africa?
Coinvolgere i minori nei conflitti conviene. Un bambino ha meno esigenze e pretese di un adulto che pretende di essere pagato. Un bambino è più condizionabile ed è malleabile e suggestionabile. Insomma, reclutando ragazzini i gruppi armati risparmiano tanti soldi che possono utilizzare per comprare nuove armi.

Le storie da lei raccontate sono 34. Una su tutte?
Ognuna delle storie che ho raccontato, ponendola in prima persona, dal punto di vista del bambino, ha per me un valore speciale. Forse tra tutte, mi ha colpito particolarmente la storia di Grace, 15 anni, che per fortuna è stata salvata grazie a un programma di disarmo nell’area del Nord Kivu, nella Repubblica Democratica del Congo. Grace mi ha raccontato di come le avessero imposto con la violenza e le droghe di uccidere chi aveva di fronte senza scrupoli, a tutti i costi, anche con metodi disumani. A un certo punto era diventata una macchina da guerra. Ha combattuto a lungo poi non ce l’ha fatta più. Un giorno ha incrociato un gruppo di militari dell’esercito e ha deciso di consegnarsi a loro.

In generale come finiscono le storie di questi bambini e bambine?
Il percorso di recupero, per chi riesce a fuggire dai gruppi armati, non sempre riesce a reintegrarli nella società. I bambini reclutati forzatamente subiscono la separazione dalle loro famiglie, violenza fisica e psicologica, compreso lo sfruttamento sessuale, nonché l’interruzione della loro istruzione, della loro infanzia. Che si siano uniti a un gruppo armato con la forza o per scelta, come combattente o svolgendo una funzione diversa, ogni storia è unica, ma le sofferenze affrontate dai bambini sono uguali per tutti. Le testimonianze che ho raccolto riflettono le esperienze dei bambini, le difficoltà che hanno affrontato e le loro speranze per una nuova vita che intraprendono grazie a chi li aiuta a ricominciare. Ma molti, forse la maggioranza, non ce la fa.

Il libro è rivolto, come scrive, prima di tutto ai nostri ragazzi. Fino ad oggi che riscontro ha avuto da loro?
I ragazzi che finora hanno partecipato alle presentazioni sono sempre stati molto attenti e hanno posto molte domande. Alcune insegnanti mi hanno chiesto di tenere incontri nelle scuole, presto lo farò, ne sono entusiasta, i ragazzi sono estremamente ricettivi e rappresentano la speranza per la diffusione di una consapevolezza maggiore nella società della gravità di questo fenomeno.

Qual è la luce oltre il buio che lei vede?

La scelta di raccontare in prima persona le storie di questi «soldatini» in carne e ossa, anche quelle più crude, scaturisce dalla convinzione che nulla più delle loro parole possa esprimere l’orrore che hanno vissuto ma anche le loro speranze. Le testimonianze di chi ce la fa sono «la luce oltre il buio». Sono la dimostrazione che uscire da quell’inferno è possibile. Per questo l’impegno della comunità internazionale deve essere più ampio che mai.