Solbiati e Berne, incroci arditi e antiretorici
Concerti In tour per il manifesto a Padova tra un concerto di classica che diventa contemporanea e un concerto di jazz che più contemporaneo non si può
Concerti In tour per il manifesto a Padova tra un concerto di classica che diventa contemporanea e un concerto di jazz che più contemporaneo non si può
In tour per il manifesto a Padova tra un concerto di classica che diventa contemporanea e un concerto di jazz che più contemporaneo non si può. Tra un Beethoven che fa da cornice a una prima assoluta di Alessandro Solbiati e un Tim Berne nella sua versione più meditata. L’Orchestra di Padova e del Veneto ospite dell’Auditorium Pollini sta cambiando pelle con la guida di Marco Angius. Si confronta regolarmente con autori del ‘900 e del 2000 e studia la propria sonorità in vista di esiti inauditi per una compagine di tradizione. In effetti il Beethoven di Angius e dell’Opv è inaudito. Prima l’Ouverture Leonora, la terza delle quattro scritte da Ludwig van.
Suono molto scabro. Niente fulgore, molta meditazione. Un Beethoven materico? La «grana» della somma timbri + melodia/armonia è di quel tipo. Angius evita deliberatamente di metterci impeto e brillantezza, stacca tempi larghissimi. Compie una «lettura» analitica cercando una poetica antiretorica che si potrebbe definire estremistica. Per un ortodosso è quasi uno scandalo.
Ancora più «scandalosa» la Settima Sinfonia con quell’Allegretto che ha commosso intere generazioni. Intanto Angius, per la prima volta (almeno a quanto ricordiamo), abolisce la pausa tra i quattro movimenti. Punta su un unico fiume di suoni che confliggono, si agitano, si spezzano, si ricompongono. Siamo nel nostro mondo e quello di Beethoven diventa nostro senza difficoltà. Assenza voluta di accenti carichi di quell’«espressività» a cui gli ascoltatori sono abituati. Le linee melodiche principali sono pareggiate a quelle secondarie che camminano in parallelo con funzioni (nelle esecuzioni standard) di armonizzazione. Angius ha un coraggio da leone. Le prime note del celebre Allegretto fanno venire in mente, per come sono messe in campo, la Notte trasfigurata di Schönberg. Ma l’attacco del terzo movimento, Presto, è impressionante per dinamismo terrifico.
Studio, analisi, antiretorica sì, ma non indifferenza. Anzi una gran carica antagonistica. E – udite, udite! – al pubblico, ritenuto a priori conservatore, tutto ciò piace tantissimo. Diluvio di applausi. Solbiati in mezzo a queste due interpretazioni beethoveniane ci sta molto bene. I suoi Sette Intermezzi dall’opera Il suono giallo a sua volta ispirata all’omonima azione scenica di Kandinskij, sono un omaggio alla voluttà dei timbri. L’organico è da camera ma nutrito. Archi in glissando che sembrano soffiare, tromboni in riff, un flautino che conduce un «adagio» pieno di turbamento. Voluttà delle alternanze e delle combinazioni timbriche, ma spesso i timbri sono vitrei. I «divertimenti» della marimba sono drammatici. Ci sono squarci di melodie arcane. Il tutto si può intitolare: in viaggio verso Marte, inquieti. Un misurato espressionismo siderale. Gli Intermezzi si muovono a incastri di tutte le famiglie degli strumenti in un clima di dichiarato essere-nella-crisi. Ma la crisi è visione dell’angoscia e visione dell’apertura e della rottura.
Come si collega questa serata sinfonica con quella di cui è protagonista Tim Berne col trio Big Satan al Cinema Torresino, una delle sedi concertistiche del Centro d’Arte degli Studenti? A pensarci bene, il collegamento è più agevole tra il Beethoven di Angius e la musica di Berne (sax alto), Marc Ducret (chitarra elettrica) e Tom Rainey (batteria). Per via del «cerebralismo», sia detto in senso molto buono, di entrambe le esperienze che vengono compiute.
I tre di Big Satan non sono omogenei nella loro ispirazione. Ducret e Rainey quando duettano praticando l’improvvisazione sono liberi ed eversivi, Berne ha in mente la scrittura musicale anche quando va in assolo e, soprattutto, desidera un controllo dell’emozione fortissimo. Vince lui nel gruppo. Il Solbiati rigoroso ma «a nervi scoperti» è da un’altra parte.
Bop, cool e free sono le tradizioni a cui Berne si allaccia. Costruisce in collaborazione con i suoi partner brani pluri-tematici nei quali sono i diversi temi, senza «chiuse» e praticamente atonali, a costituire la sostanza. Gli interventi di un Ducret, rumorista, punk e astratto nello stesso tempo, sono i frammenti magici. Ma i processi tutti mentali di Berne dominano. Occorre cercare la magia anche lì.
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