Sogni e pugnali, il gioco di un’artista jazz
Musica Quarto album «Dreams and Daggers» per la giovane cantante di Miami Cécile McLorin Salvant. «Sono sempre stata influenzata da musicisti che amano mescolare varie componenti nel loro lavoro e non sempre omogenee: teatro, danza, letteratura»
Musica Quarto album «Dreams and Daggers» per la giovane cantante di Miami Cécile McLorin Salvant. «Sono sempre stata influenzata da musicisti che amano mescolare varie componenti nel loro lavoro e non sempre omogenee: teatro, danza, letteratura»
Il taglio cortissimo dei capelli e la montatura degli occhiali una misura troppo grande, la postura dinoccolata e la grinta che sfoggia on stage, fanno di Cécile Mc Lorin Salvant, una delle voci più belle affacciatesi nel mondo del jazz vocale nel corso delle ultime stagioni, un animale da palcoscenico. Nata a Miami ventotto anni fa, di madre francese e padre (medico) haitiano, ha iniziato prestissimo con il pianoforte classico e il canto barocco. E poi lo studio del blues e del jazz dei padri fondatori, fino alla svolta nel 2010 con la conquista di uno dei premi più prestigiosi, il Thelonious Monk International Jazz Vocal Competition e subito dopo a incidere il suo primo album – che porta il suo nome – in Francia mentre nel 2013 è la volta di WomanChild e due anni dopo arriva For One To Love.
Il quarto lavoro dell’artista americana, pubblicato a fine settembre da Mack Avenue e dal curioso titolo Dreams and Daggers – letteralmente «Sogni e pugnali», con il volto di Cécile che si staglia in copertina riflessa in un piccolo specchio, è un progetto sicuro e ambizioso che mescola materiali live, tracce inedite e classici dal passato – come The Thrill is Gone, l’evergreen di Irving Berlin Let’s face the Music And Dance e un intramontabile song di Dinah Washington come Mad About the Boy. Brani trasfigurati letteralmente nella sua interpretazione che scava nei testi, evita enfasi come solo figure del calibro di Sarah Vaughan o Carmen McRae, hanno saputo fare. Sicura ma mai soddisfatta pienamente, quando ci si complimenta per il suo superbo canto in cui rivive il meglio del canto jazz femminile, quasi si schernisce: «Veramente non sono orgogliosa di nulla – sottolinea – non mi riesce proprio di esserlo. Ecco se mi avessi chiesto che cosa temo di più o i (tanti) dubbi che mi tormentano, beh forse ti avrei risposto più facilmente».
Ascoltando i dischi di Cécile, il modo con cui sceglie gli arrangiamenti e si confronta con i musicisti, è percepibile una genuina passione per gli standard: «Ma, in realtà io non li considero standard o musiche legate al passato, per me ogni cosa è connessa ed ogni cosa è nel presente. Mi affascina l’idea di giocare con il tempo, ecco per me non esiste la questione ‘prima e dopo’». Personalità multiforme, l’artista americana sa calarsi nei testi con la grazia di una consumata attrice. Il Guardian un paio di anni fa ha definito il suo stile ‘più teatrale che jazz’: «Beh, non nascondo che una mia ambizione sia stata quella di recitare. E la musica mi ha consentito in qualche modo di bilanciare questi due mondi. Però non sono d’accordo sul fatto di mettere confini: cantare jazz non preclude la possibilità di sviscerare le passioni, le storie che si nascondono nelle pieghe delle canzoni».
https://youtu.be/ioHoS8JnCVM
«Anche perché – sottolinea Cécile – il jazz non sarebbe quello che è diventato senza le sue origini teatrali; il vaudeville e gli instrel shows per intenderci (erano una forma di spettacolo americano, nato intorno al 1840, che consisteva in una miscela di sketch comici, varietà, danza e musica interpretati da artisti bianchi con la faccia dipinta di nero, ndr). Molti artisti tra i miei preferiti hanno forti elementi teatrali nella loro musica: parlo di gente come Billie Holiday, Carmen McRae, Babs Gonzales, Dizzy Gillespie».
E non solo, la sua curiosità si estende anche in altri territori: i libri di Virginia Woolf, la poetica di Langston Hughes o la danza con le adorate coreografie di Anne Teresa De Keersmaeker: «Certo è eccitante per me l’approccio con i grandi nomi del canto jazz, ma io sono sempre stata influenzata da artisti che amano mescolare varie componenti nel loro lavoro, non sempre omogenee. Anzi, io amo decisamente i contrasti più…azzardati». Il nuovo doppio progetto discografico sembra, per l’appunto, un gioco di contrasti, luci e penombre, sezioni d’archi lussuose ed essenziali live set con il quartetto: «Beh, è tutto nel titolo: sogni e pugnali. Per me alcune canzoni sono come delle sospensioni oniriche, delle riflessioni ed altre sembrano più decise, sferzanti quasi come un colpo di pugnale per l’appunto. La formula che ho utilizzato è di alternare brani in studio a materiale dal vivo, che è poi la dimensione che preferisco. Interagire con i musicisti, anche gli errori contribuiscono a farti crescere e dare calore all’intero progetto».
Esplorare i misteri della voce, passione che ha spinto una giovanissima Cecilé alla scoperta del canto classico e barocco: «Di questo repertorio mi affascina tutto: la ricercatezza dei testi, gli strumenti, i personaggi e le storie che vengono raccontate. Amo l’intera cultura del barocco, così come la danza. E non è un caso, perché la musica barocca è una celebrazione di contrasti e irregolarità, e se quelle canzoni funzionano ancora oggi 400 anni dopo qualcosa significa. Proprio quanto mi piace rappresentare nel nuovo disco». Il mondo del cinema e della musica che hanno supportato Hillary Clinton hanno subito un pesante shock poi con l’elezione di Trump alla Casa Bianca. Cécile è molto realista e cerca di non piangersi addosso: «Continuo a lottare, certo la delusione è stata cocente. Però io ho sempre interpretato canzoni che mettevano al centro la lotta per l’identità, per le parità di diritti. E questo ben prima che la corrente amministrazione si insediasse alla Casa Bianca…». Quattro anni fa dava alle stampe il suo terzo lavoro, WomanChild, in cui raccontava di sentirsi a metà come ’donna e bambina’: «In parte era autobiografica perché all’epoca avevo 24 anni e mi sentivo per certi aspetti bambina, non adulta come credo siano state alla stessa età mia mamma e mia nonna. Siamo una generazione per molti versi in perenne adolescenza…».
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