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Sofonisba, vita avventurosa di cremonese nella rete maschile

Sofonisba, vita avventurosa di cremonese nella rete maschileSofonisba Anguissola, "Partita a scacchi", Poznan, Narodowe Muzeum

Michael W. Cole, "Sofonisba’s Lesson. A Renaissance Artist and her work", Princeton University Press; Giovanna Pierini, «La dama con il ventaglio», Electa Sofonisba Anguissola: senza stabilire un credibile catalogo delle opere, lo storico dell'arte americano punta sulle coordinate culturali di «genere»

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 17 gennaio 2021
Sofonisba Anguissola, “Autoritratto”, Chantilly, Musée Condé

 

L’anno scorso, di questi tempi, il Prado proponeva una mostra su Sofonisba Anguissola y Lavinia Fontana. Dos modelos de mujeres artistas; ora la National Gallery, dopo l’ultima serrata, propone visite di mezz’ora guidate dalla curatrice Letizia Treves alla monografica su Artemisia Gentileschi; e a rimpolpare le iniziative dedicate alle artiste è arrivato da poco anche Sofonisba’s Lesson A Renaissance Artist and her work (Princeton University Press, pp. 307, 256 immagini a colori, 25 in b/n, dollari 50,00, sterline 60,00); un libro, autore Michael W. Cole, su cui sono già stati sollevati legittimi dubbi nella recensione di Patrizia Cavazzini apparsa sul «Burlington» di dicembre.
Il problema principale è che l’autore non ha provveduto a stabilire un suo catalogo dell’opera di Sofonisba Anguissola, e ha diviso le opere in più sezioni: documentate o firmate, largamente accettate dagli specialisti, attribuzioni contestate o insufficientemente discusse, e infine proposte attributive accolte da una minoranza di studiosi. Questa raccolta di informazioni è utile a comprendere quanto si sia tentato invano di dare corpo negli ultimi tempi, con attribuzioni avventurose, a una Sofonsiba sempre più inconsistente. Ci si aspettava adesso una bonifica più accurata, proprio perché proporre un corpus di opere, che quantomeno esondasse da quelle certe, serve a costruire quella fisionomia credibile che ancora manca. Invece, disponendo così la materia, i sei capitoli che costituiscono il resto del libro non sembrano sempre poggiare su una solida base.
Quantomeno il primo decennio cremonese (1551-’60) è ormai chiarito da quattro decenni di avanzamenti degli studi, soprattutto in seguito alla mostra di Cremona del 1994, il cui regesto documentario approntato da Rosanna Sacchi si mostra ancora di grande utilità, anche per questo lavoro di Cole. Al lungo tempo ancora fitto di tratti oscuri della vita della pittrice – la Spagna (1560-’73), la Sicilia (1573-’78), Genova (1579-1615) e poi Palermo (1615 circa-1625) – è invece dedicata meno attenzione. Provando perciò a sopperire alle mancanze documentarie, Cole mette a punto una definizione della «lezione» di Sofonisba: artista-donna, ma avvolta in una rete di relazioni tutta maschile. La prima figura ingombrante è il padre Amilcare Anguissola, un nobile cremonese decaduto al punto da non potersi permettere di dotare nemmeno la primogenita per un eventuale matrimonio, attento però ad assegnare a ogni figlio un altisonante nome letterario, come a voler segnare il loro destino.
Così Sofonisba si avventura per le impervie strade della fama in pittura, che equiparano solo in parte il suo percorso a quello degli uomini. È infatti chiaro che per lei l’educazione artistica genera una differenza: lo svolgimento di un apprendistato presso il pittore Bernardino Campi, le cui modalità non sono ancora chiare, non porta all’apprendimento del dipingere con il fine di commerciare le proprie opere. Sofonisba rimane tutta chiusa in una dimensione domestica che le suggerisce finanche i temi per i quadri. E Amilcare scrive lettere a Michelangelo Buonarroti, ad Annibal Caro, tanto che il nome della figlia finisce, di bocca in bocca, nelle corrispondenze di eruditi e granduchi, che si mostrano incuriositi dalle qualità di un’artista cui si è riservato un campo di eccellenza: il ritratto o, meglio ancora, l’autoritratto.
Nelle iscrizioni che corredano le opere di Sofonisba, il ruolo del padre non è meno in risalto di quello dell’autrice, come nell’Autoritratto di Boston, dove lei regge uno scudo dove dipinge l’anagramma del nome paterno. La casa di Cremona viene visitata anche da Vasari, che ammira il quadro oggi a Nivaagaard in Danimarca: Amilcare abbraccia l’unico figlio maschio, Asdrubale, e non degna di uno sguardo una delle figlie, Minerva. Cole suggerisce che l’affezione del padre andava verso chi era destinato a tramandarne il nome. Ma lo studioso americano non dimentica un sapiente avviso di Adolfo Venturi: «la pittrice, che aveva messa nello studio della posa del vecchio la cura banale di un fotografo di campagna, tenta di comporre un ritratto in azione; ma l’intento fallisce per l’inerzia delle forme tagliate nel legno».
In molti hanno infatti avvertito i limiti di qualità di Sofonisba, e fra i dipinti che si potrebbero scegliere a testimonianza contraria nessuno parla di più della cosiddetta Partita a scacchi del Museo Nazionale di Poznan del 1555. L’iconografia può sembrare criptica, se non si parte dalla scacchiera: Lucia ha mangiato la regina alla sorella minore, Minerva, forse colpevole di una distrazione, e questo desta l’ilarità di Europa, che forse si era accorta dell’errore pagato a caro prezzo. La sensibilità verso ciò che accade nell’immediato, e che si può fissare in un’opera, sembra essere la cifra di un’artista che dovette impressionare i suoi contemporanei. Proprio Michelangelo, dopo aver visto un disegno di Sofonisba di «una giovane che rideva», lancia una sfida: sarà capace la pittrice di rappresentare un fanciullo che piange, «cosa molto più difficile»? Sofonisba risponde con il bellissimo «ritratto di un suo fratello fatto piangere studiosamente», molto rovinato, oggi conservato a Napoli, che insieme alla Cleopatra del Buonarroti viene inviata al granduca Cosimo.
Ma del resto la vita di Sofonisba è talmente ricca di circostanze straordinarie che basta isolare gli episodi principali per romanzare la sua vicenda, come ha fatto di recente Giovanna Pierini (La dama con il ventaglio, «ElectaStorie», pp. 225, euro 19,80). Qui Sofonisba è una merce, che passa dalle mani del padre a quelle del re di Spagna Filippo II come dama di corte per la regina Isabella di Valois, a quelle di Orazio Lomellini. Nella finzione del romanzo, il quadro rientra spesso in un’altra sfera, quella dell’esercizio del potere; o tutt’al più in quella, sempre maschile, della competizione fra artisti. Si attraversano contesti come la Milano degli artisti e degli orafi – siano i Miseroni o i Leoni – nel tentativo di rendere accessibili figure il cui fascino spesso è riservato a chi studia.
Naturalmente bisogna sempre affidarsi alle opere giuste, per dare un peso decisivo nelle ricostruzioni; e sarebbe il caso di espungere definitivamente il ritratto a figura intera di Isabella di Valois, che è pure la copertina del romanzo della Pierini, e ridare centralità almeno all’Autoritratto di Chantilly e ai ritratti a mezza figura di Filippo II e di Isabella di Valois del Prado, come anche Cole propone di fare. Sembra comunque che il frutto migliore di Sofonisba siano quelle opere cremonesi testimoni di una condizione unica. Come un Leopold Mozart tutto proteso a impedire il dissesto economico familiare, Amilcare avrebbe così prodotto un fenomeno destinato a spegnersi in termini pittorici, ma non in termini di vita. Anche perché per Sofonisba la stabilità non arriva mai: muore il primo marito, giunto molto tardi, perché affoga nel naufragio di una flotta: era il nobile Fabrizio Moncada. Il secondo marito lo sceglie lei, è il genovese Orazio Lomellini; lei vorrebbe tornare a Cremona, ma si ritrova a tornare a Palermo…

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