Soffia il vento del canto popolare
Musica «Bella ciao», lo storico spettacolo di Roberto Leydi e Filippo Crivelli celebra oltre mezzo secolo con un nuovo allestimento e un cd, curati da Franco Fabbri e RiccardoTesi
Musica «Bella ciao», lo storico spettacolo di Roberto Leydi e Filippo Crivelli celebra oltre mezzo secolo con un nuovo allestimento e un cd, curati da Franco Fabbri e RiccardoTesi
Bella ciao ha segnato la nascita del folk revival italiano. Il primo dei grandi spettacoli proposti dal Nuovo Canzoniere italiano e al contempo mirabile tentativo di creare un archivio sonoro dei canti popolari. Nel 1964 si imbarcarono nell’impresa Giovanna Marini, Giovanna Daffini, Caterina Bueno, il gruppo di Piadena, Ivan Della Mea, Michele L. Straniero, Sandra Mantovani ma il suo battesimo – il 21 giugno al Festival dei Due Mondi di Spoleto, suscitò furiose polemiche. Giancarlo Menotti dopo aver accettato la proposta degli autori Roberto Leydi e Filippo Crivelli, forse intimorito dall’impatto di quelle canzoni e soprattutto dei testi su un pubblico d’elite, chiese qualche modifica rifiutata però da Crivelli. Le reazioni del pubblico all’inizio tiepide degenerano in rissa durante l’esecuzione di O Gorizia tu sei maledetta, uno dei più belli e desolati canti antimilitaristi: «traditori signori che la guerra l’avete voluta, scannatori di carne venduta e rovina della gioventù». È il pandemonio, un ufficiale in congedo scatta al grido: «Evviva gli ufficiali!». E poi urla, insulti, sedie che volano e svenimenti a catena fra le signore impellicciate in platea.
«Mi hanno tradito», dice Menotti – mentre Nanni Ricordi, direttore della rassegna si dimette. Le repliche continueranno in mezzo alle polemiche e a una denuncia per vilipendio alle forze armate, garantendo però una grande notorietà al lavoro. 100 mila copie vendute dell’album, il lancio definitivo dei Dischi del Sole. «Lo spettacolo – sottolineò all’epoca Ricordi – divenne un caso nazionale e suonò come uno spartiacque. Fece vedere e ascoltare un altro mondo, un’altra cultura, un’altra Italia».
Nel settantesimo anniversario della liberazione – e nel cinquantesimo della prima edizione – Bella ciao ritorna con un trattamento musicale diverso che non lo stravolge ma ne accentua – se possibile – l’estrema attualità. Perché Bella ciao è una lezione di democrazia che «nasce dal basso» e in tempi di messaggi rancorosi nei social network contro la valanga di disperati che sbarcano – e troppo spesso muoiono prima di arrivarci – sulle nostre coste, suona ancora più urgente. L’idea di riprendere lo spettacolo e produrre il disco che esce per Materiali Sonori, è di un anno fa, originariamente doveva trattarsi solo di uno spettacolo nella sala Di Vittorio della Camera del Lavoro di Milano, ma a quel concerto ne è seguito un secondo e poi molti altri ancora: Bella ciao sarà il 26 aprile a Marzabotto, il 27 a Padova, il 28 a Firenze mentre il carnet estivo è già fitto di date.
«Alcune cose – spiega Franco Fabbri a cui è stato affidato il progetto – mi erano state chiare fin dal principio: avremmo riallestito Bella ciao nel modo più fedele e possibile dell’edizione originale, tenendo conto del luogo e dei tempi». Ma i suoni dovevano essere necessariamente aggiornati: «Il sound schitarrante dell’originale mi era sempre parso più motivato dal desiderio di ricreare in Italia l’amosfera dei folk-club angloamericani (i modelli di Leydi e di un po’ tutti nel folk revival italiano, ndr) che da un lavoro di ricerca sugli strumenti della tradizione popolare italiana».
Riccardo Tesi è la persona giusta a cui dare carta bianca per arrangiamenti e orchestrazione: «Subito – spiega l’artista toscano da trent’anni in mezzo a progetti jazz, populare e etno – è stata chiara l’estrema attualità di questo repertorio. Però fare una cosa filologica ci sembrava un po’ inutile e allo stesso tempo stravolgere un classico era fuori luogo. Quindi abbiamo cercato di tenere un equilibrio tra vecchio e nuovo, ci rendiamo conto che queste canzoni parleranno alle nuove generazioni ma sono brani che hanno uno stile, e in qualche modo la loro essenza va rispettata». Per un’opera così complessa, gli interpreti sono fondamentali: Ginevra Di Marco, Lucilla Galeazzi, Elena Ledda e Alessio Lega, ovvero alcune delle voci più importanti della musica popolare e del canto sociale negli ultimi trent’anni, eredi di quella tradizione, vengono coinvolti senza la minima esitazione: «Sentirli – sottolinea Tesi – armonizzare e cantare è stato un piacere».
Sedici canzoni e una scaletta che si apre con due differenti versioni di Bella ciao fuse insieme: la prima parte è la cosiddetta Bella ciao (mondina), una scoperta di Roberto Leydi dalla voce della ex mondina Giovanna Daffini, che gli assicurò di averla imparata ben prima dello scoppio della guerra. In quegli anni si creò un caso, un canto di lavoro che forniva la base per elaborare un brano simbolo della lotta partigiana. E anche se le cose – si appurò più avanti – non andarono esattamente così, questa leggenda continua a circolare. Sedici canzoni simbolo, dai canti di protesta raccolti da Ernesto de Martino (Sono cieco e mi vedete) al canto anarchico (Addio Lugano) scritto da Pietro Gori nel 1895 – ai dolenti racconti delle mondine sfruttate (Amore mio non piangere) a cui prestava nell’originale voce Giovanna Daffini.
Fino al divertito scherno degli Stornelli mugellani – fra i brani del repertorio di Caterina Bueno che introduce nel mondo lirico-licenzioso dell’erotismo popolare in chiave femminile. Il nuovo Bella ciao viene proposto domani alle 19.30 su Radiotre, nel corso di una serata condotta da Marino Sinibaldi a cui interverrà, come voce recitante, Maurizio Donadoni.
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