Sœren Solkær, fantasticare sul sole nero
Cristalli liquidi «Black Sun», lavoro del 2023 firmato dal fotografo danese
Cristalli liquidi «Black Sun», lavoro del 2023 firmato dal fotografo danese
Sort Sol o sole nero: così i danesi indicano quello che gli inglesi chiamano murmuration. Niente a che vedere con una sorta di borbottio come la parola onomatopeica sembra suggerire: il termine infatti indica quelle masse oscure e compatte di storni che, a cadenza stagionale, svolazzano nei cieli migrando verso il sud. Un sud che, a causa del riscaldamento globale, è sempre più a portata di mano, come nel clima temperato dell’Europa mediterranea. A chi si gode lo spettacolo degli storni da terra, col naso puntato all’insù, può capitare di assistere all’oscuramento momentaneo del sole, come in un giorno d’eclisse, da cui l’espressione danese. Da qui trae ispirazione il fotografo danese Søren Solkær (1969) per Black Sun (2023), una serie fotografica dove le star della musica e del cinema, protagoniste dei suoi primi 25 anni di carriera che lo hanno reso famoso, sono sostituite dai volatili. Il progetto si riallaccia idealmente ai ricordi d’infanzia, a quegli storni che volteggiavano nei cieli e sopra le terre paludose della costa sud-ovest della Danimarca, e che Solkær insegue per quattro anni (dal 2017 al 2021) viaggiando in Europa e toccando l’Irlanda, l’Olanda, la Spagna e l’Italia (Roma e la Sardegna). Come nella migliore tradizione del birdwatching si arma di pazienza: in oltre 120 giorni d’osservazione ammette di non contarne più di una decina producenti.
Ora, il sole nero in questione non è prodotto di un evento catastrofico o simbolo di nefaste profezie sulla fine del tempo e della vita sulla terra, ma pura meraviglia per lo sguardo. Uno sguardo che non può evitare di fantasticare o «ricamare» su queste mormorazioni prese in un’incessante metamorfosi. In Black Sun emerge decisa la volontà di catturare non solo l’unità e la densità degli stormi di storni ma anche la loro capacità collettiva di generare un’unica forma, di fondersi in una sola immagine. Che sia naturale (come le onde) o animale (come quella di un uccello o di una balena). E che sia volontaria o, più probabilmente, mero prodotto dello sguardo soggettivo del fotografo. Tuttavia, rispetto alle figure e alle smorfie che distinguiamo nelle nuvole, quelle degli storni sono preziose in quanto effimere, pronte a svanire da un momento all’altro non appena gli storni cambiano direzione, con un unisono spettacolare che non smette d’interessare gli studiosi di sistemi complessi.
Anche Solkær è attratto dai movimenti repentini e inaspettati degli storni che confondono, spesso con successo, l’attacco di un predatore. In questo balletto per la sopravvivenza il fotografo riconosce una scrittura celeste; del resto a ispirarlo sono la pittura di paesaggio nordica del XIX secolo, le stampe di paesaggi e la calligrafia giapponesi. Come se gli storni fossero macchie d’inchiostro tracciate sullo sfondo del cielo con fini colpi di pennello. «A volte lo stormo sembra possedere il potere coesivo dei superfluidi, che cambiano forma in un flusso infinito: dal geometrico all’organico, dal solido al fluido, dalla materia all’etereo, dalla realtà al sogno – uno scambio in cui il tempo reale cessa di esistere e il tempo mitico si espande. È questo il momento che ho cercato di catturare: un frammento di eternità». Frammenti moltiplicati dal lettore che sfoglia Black Sun (o il suo pendant, Starling, 2023) e unisce mentalmente in un’unica forma le foto che si succedono una accanto all’altra, provenienti da nazioni diverse. Frammenti moltiplicati infine dallo stesso Solkær quando, in occasione di una mostra da poco terminata al National Nordic Museum di Seattle, espone accanto alle fotografie un video in bianco e nero sulle mormorazioni. Rispetto alla bellezza plastica di Black Sun, con le immagini in movimento il cielo sembra respirare.
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