Socialisti in Europa, il Pd rassicurante e quello reale
Europa È una ricostruzione assai falsata del quadro europeo (e nostrano), quella che l’eurodeputato Gualtieri del Pd compie nella sua intervista al manifesto dell’11 maggio scorso. Per il passato l’ammissione di […]
Europa È una ricostruzione assai falsata del quadro europeo (e nostrano), quella che l’eurodeputato Gualtieri del Pd compie nella sua intervista al manifesto dell’11 maggio scorso. Per il passato l’ammissione di […]
È una ricostruzione assai falsata del quadro europeo (e nostrano), quella che l’eurodeputato Gualtieri del Pd compie nella sua intervista al manifesto dell’11 maggio scorso. Per il passato l’ammissione di qualche errore, ma con la rassicurazione che ora saremmo in tutt’altra fase, con la fine della grande alleanza tra popolari e socialisti che ha sin qui governato l’Europa, con un Pd compattamente keynesiano a favore di «un’Europa sociale».
Un affresco rassicurante, in sostanza un invito ad affidarsi al Pd, il voto utile per eccellenza, nella riproduzione su scala continentale di un bipolarismo in cui da una parte ci sarebbe la destra nazionalista, e dall’altra i «progressisti-europeisti».
Un affresco falsato, tanto sul passato quanto sulle prospettive, e ancor di più sulla profondità della crisi che segna questa Europa e sulla radicalità del cambiamento necessario.
Partiamo dalla fine, da quella «assurda regola del pareggio di bilancio e da quella ancora più assurda del debito», cioè dal fiscal compact, la cui ratifica registrò il voto favorevole del Pd insieme all’allora Pdl, e che fu introdotto con eccesso di zelo persino in Costituzione, anche in questo caso con il voto favorevole di Pd, Pdl e Lega Nord.
Non basta un po’ di flessibilità, né basta non inserirlo organicamente nei Trattati, se poi sono le sue regole che la Commissione Ue fa valere, come continua ad avvenire. Né abbiamo visto nessuna iniziativa del Pd per cancellare il principio del pareggio di bilancio dalla Costituzione, nonostante le molteplici campagne su questo terreno, a partire da quelle promosse anche con proposte di legge, da autorevoli costituzionalisti.
Né dal Pd sono venute riflessioni critiche e autocritiche sul Trattato di Maastricht, anch’esso ratificato con i voti favorevoli dell’allora Pds, Dv, Lega Nord, con i suoi parametri arbitrari tesi a limitare drasticamente l’intervento pubblico in economica (poi peggiorati dal fiscal compact), con l’assoluta anomalia dello statuto della Bce, con la piena libertà di movimento dei capitali in assenza di regole di convergenza fiscale, salariale, degli investimenti.
E per venire alla Grecia, forse che il fatto di non aver sostenuto il falco Schauble, attenua le responsabilità per il diktat micidiale che fu imposto nel 2015 al popolo e al governo greco? E come si fa a fare la lotta ai paradisi fiscali se non si mettono in discussione quelli interni alla Ue, a partire dal Lussemburgo di Junker?
Apprendiamo anche che il futuro sarebbe un’alleanza non più con i popolari, ma «da Macron a Tsipras», a partire dall’indicazione a presidente della Commissione a favore di Timmermans. Ma a parte l’evidente forzatura per cui l’intervento di Tsipras contro Weber diventa l’intervento di Tsipras a favore di Timmermans, forse che il Macron che, solo per dirne una, ha cancellato l’imposta sulle grandi ricchezze in Francia, è il neo campione di un’alleanza progressista?
Infine per venire a casa nostra, il Pd che si dichiara contrario ad ogni ipotesi di patrimoniale, che considera il ripristino dell’articolo 18 «non una priorità», che è il più strenuo difensore della Tav in Valsusa, che si presenta con Calenda, a sua volta il più strenuo sostenitore del Ttip, ed il cui presidente Gentiloni invita Sanchez ad allearsi con Ciudadanos, è questo Pd «reale» il soggetto a cui affidare la rimessa in discussione delle politiche neoliberiste?
Sappiamo bene che c’è una destra razzista, nazionalista e autoritaria, che è il nostro principale nemico, ma sappiamo altrettanto bene che questa destra ha affermato la sua egemonia nella società in conseguenza delle politiche di questi anni, delle disuguaglianze, della precarietà e dell’insicurezza sociale che quelle politiche hanno prodotto. Per battere le destre ci vuole un’alternativa a quelle politiche. Un voto libero, a sinistra.
*candidata di La Sinistra nel collegio Centro
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