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Slow food, 30 anni da quel Manifesto nato a Parigi

Slow food Erano per lo più quarantenni, cresciuti politicamente a sinistra e stanchi di fare politica dentro partiti e strutture che non capivano quella loro idea di provare a cambiare il mondo […]

Pubblicato quasi 5 anni faEdizione del 11 dicembre 2019

Erano per lo più quarantenni, cresciuti politicamente a sinistra e stanchi di fare politica dentro partiti e strutture che non capivano quella loro idea di provare a cambiare il mondo partendo dal cibo.

Poco più di tre anni prima avevano creato Arci-Gola, nelle Langhe non ancora «colpite da improvviso benessere» (citazione di Bartolo Mascarello, grande barolista che siede a pieno titolo nel pantheon di Slow Food): era l’estate del 1986, che veniva dopo mesi drammatici (dallo scandalo del vino al metanolo al disastro di Cernobyl’), e l’apertura di un McDonald’s in Piazza di Spagna a Roma (il secondo d’Italia, dopo quello di Bolzano nel dicembre 1985) ai più sembrò una gran bella notizia.

Non la pensavano così Petrini e compagni che, con l’ausilio di alcuni intellettuali (guidati da Folco Portinari), riuscirono a mettere nero su bianco la loro critica al modello turbo consumista che stava affermandosi in tutto il mondo e che nella multinazionale della polpetta troverà uno dei suoi simboli globali. Ne scaturì un documento di formidabile freschezza e lucidità, pur con il tono leggermente scanzonato che era stato scelto «per non prendersi troppo sul serio» (come ama dire ancora oggi Carlo Petrini, quando gli sembra che qualcuno intorno a lui stia perdendo il contatto con la realtà).

Quel Manifesto dello Slow-food (scritto proprio così) comparve per la prima volta proprio in mezzo alle pagine del manifesto, il 3 novembre 1987, più precisamente sulla copertina dell’inserto Gambero Rosso. E forse fu proprio grazie a questo quotidiano, omonimo del documento, se il Manifesto Slow Food ebbe subito un successo così importante. Non dimentichiamo che siamo in era pre-internet (e i telefoni cellulari stavano appena iniziando a fare la loro comparsa, ma non di sicuro dalle parti di Bra): diffondere una nuova idea senza il supporto di adeguati strumenti cartacei era molto difficile e tutt’altro che rapido. Invece, in soli due anni, la torta era già lievitata al punto da rendere possibile una convocazione internazionale – sino ad allora Arci-Gola, che intanto aveva aggiunto Slow Food al suo nome, non aveva varcato i confini italiani – che non poteva che avvenire a Parigi.

Nel mondo globalizzato di oggi, le capitali gastronomiche non si contano più. Ma nel 1989 c’era solo la Francia e Parigi, la sua capitale, era lo scenario perfetto per il lancio di un grande movimento internazionale per il diritto al piacere, per la buona tavola, per affermare la dignità culturale del cibo e per rivendicare la necessità di difendere il patrimonio gastronomico di ogni angolo del pianeta.

Sempre per non prendersi troppo sul serio, fu scelta l’Opéra Comique e 15 delegati in rappresentanza di altrettanti paesi del mondo firmarono l’atto di nascita del movimento internazionale Slow Food: era il 9 e il 10 dicembre 1989. Chissà quanti di loro in quel momento immaginarono, anche solo per un attimo, che quel movimento avrebbe raggiungo 160 paesi del mondo, contribuendo in maniera determinante a riscrivere la storia della gastronomia, ad affermare l’importanza strategica della biodiversità anche in campo alimentare, a cambiare il linguaggio del cibo.

Di sicuro ci credeva Carlo Petrini, che avevo conosciuto pochi mesi prima e che – non dimenticherò mai – poco tempo dopo l’evento di Parigi mi disse: diventeremo la più grande associazione al mondo dedicata alla cultura alimentare.

Carlo ci ha creduto, più di chiunque altro, e questo ne ha fatto per molti anni un’icona quasi totalizzante del movimento. Senza di lui non sarebbero bastate le belle parole e le belle intuizioni del nostro Manifesto. Tuttavia oggi celebriamo i 30 anni di quell’evento parigino e del lancio di questo Manifesto e allora non si può non sottolineare come ancora oggi esso sorprenda per la sua freschezza e la sua forza. Non erano in tanti, nel 1987, a contestare il modello di sviluppo basato sulla crescita infinita, ed erano ancora meno a predire il rischio di estinzione per il genere umano. Nessuno però aveva immaginato, prima di allora, di trovare la soluzione a tavola.

Oggi finalmente sono in tanti a convergere su quelle visioni, e questi giorni di celebrazione diventano così per noi l’occasione per rilanciare la sfida, perché il trentesimo anniversario non sia soltanto una triste ricorrenza per raccontarci quello che potevamo fare e non abbiamo fatto.

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