Lavoro

Sky «discrimina» giornalista donna tenendola a casa

Sky «discrimina» giornalista donna  tenendola a casaL'ex sede di Sky a Roma

Tribunale del Lavoro La lavoratrice era stata ingiustamente trasferita a Milano nonostante una figlia disabile. Il giudice di Roma: volontà di estrometterla dalla redazione, il lavoro non è solo guadagno ma dignità

Pubblicato quasi 5 anni faEdizione del 5 febbraio 2020

Reintegrata dal giudice, tenuta a casa da Sky. Il caso di della giornalista M. L. fa parte di una pratica sempre più diffusa nelle aziende: «hai vinto la causa ma non ti faccio lavorare pur pagandoti lo stipendio». L’esempio lo aveva dato Fca ai tempi di Marchionne nei confronti dei due operai Fiom licenziati a Melfi – Barozzino e Lamorte – nel 2010. Ora però arriva una sentenza innovativa che contempla anche la discriminazione di genere.
Il tribunale del lavoro di Roma – giudice Amalia Savignano – ha accolto il ricorso urgente disponendo «l’immediata e concreta riadibizione presso la redazione romana», condannando Sky a pagare le spese anche alla Consigliera di Parità di Roma Flavia Ginevri intervenuta nel procedimento per denunciare la discriminazione contro la lavoratrice.
La vicenda coinvolge una lavoratrice con una figlia disabile «in condizioni di handicap grave» che Sky voleva trasferire da Roma a Milano. Vinta la reintegra, dal 31 maggio viene pagata ma non fatta lavorare nonostante a Roma rimanga una redazione («politica e Centro Italia») con 31 giornalisti in servizio. Per il giudice «l’esatto contenuto del diritto al lavoro presuppone l’effittiva riammissione in servizio» «poiché il lavoro costituisce un mezzo non sono di guadagno ma anche di estrinsecazione della personalità». La «situazione di oggettiva marginalizzazione cui è stata ridotta da tempo» la lavoratrice «e il pervicace rifiuto opposto alla collocazione presso la redazione romana si sono tradotti in un trattamento, oltre che lesivo, oggettivamente discriminatorio». «La scelta datoriale di collocare la ricorrente in aspettativa retribuita, lungi dal costituire un benevolo trattamento di favore, appare ulteriormente significativa della volontà di estrometterla dal contesto lavorativo, pur nella consapevolezza delle sue condizioni familiari disagiate». «La perdurante privazione a prestare la propria attività arreca alla ricorrente un danno a professionalità, personalità e immagine, oltre che un pregiudizio all’integrità psicofisica», come da certificazione medica.
«Si tratta di un’ordinanza molto importante – commenta l’avvocato della lavoratrice Pierluigi Panici – perché spiega bene la ferocia sui luoghi di lavoro dove le aziende mirano a umiliare i loro dipendenti, all’annientamento del lavoro nonostante Sky abbia anche un codice etico aziendale. Il giudice ha invece ribadito che il diritto costituzionale al lavoro significa diritto a lavorare concretamente, il lavoro è dignità per le persone», conclude Panici.

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