Le prime tavole da skateboard compaiono nella prima metà del Novecento nei quartieri popolari americani, semplicemente come passatempo creati artigianalmente da bambini che giocano per strada e che forse non possono permettersi dei pattini a rotelle nuovi. Negli anni Cinquanta però il surf, una tradizione locale delle isole dell’Oceano Pacifico, inizia a diventare una moda e soprattutto in California c’è chi si ingegna non solo per cavalcare le onde, ma anche i marciapiedi in cemento. La tavola con quattro ruote diventa un prodotto industriale per la prima volta nel 1959 a opera del marchio Roller Derby che inizia una piccola produzione in uno stabilimento a sud-est di Los Angeles per poi diffondere quello che viene battezzato «skate board» (sono ancora due parole) su scala nazionale qualche anno più tardi.
Per diverso tempo rimane ancora un gioco per bambini e adolescenti, una variante povera del surf, circondato ineluttabilmente da una pessima fama per i frequenti traumi riportati dagli spericolati pionieri. Col tempo, tuttavia, le cose sono destinate a cambiare. Lo skateboard oggi è riconosciuto come fenomeno globale, sportivo e non solo. È il simbolo di una cultura urbana, di un’espressione creativa giovanile profondamente legata a un universo artistico, e musicale in particolare.

INEDITA PANORAMICA
È uscito in queste settimane il libro Nessuna regola, 40 anni di skateboard in Italia (Agenzia Alcatraz edizioni), una ricca e a oggi inedita panoramica della cultura skate in Italia. L’autore è Lele Lutteri, designer milanese che frequenta da anni il mondo dello skateboard e ha lavorato su collezioni di abbigliamento street e su grafiche per tavole. Ha raccolto voci e testimonianze di un movimento spesso ignorato dalla cultura ufficiale che in realtà, attraverso una ridefinizione della funzione primaria degli spazi delle città, è stato uno dei più profondi momenti di ripensamento dell’esperienza urbana giovanile.
In tutto questo, il legame con la musica è un passaggio fondamentale. Alla fine degli anni Cinquanta in California il surf si innamora del rock’n’roll e viceversa. Una gioventù che non ha vissuto la seconda guerra mondiale e che sta godendosi il benessere di quella che ai tempi è una terra promessa, trova una colonna sonora, prima nell’innovativo rock chitarristico di Dick Dale e poi nelle melodie vocali, solari e perfette, dei Beach Boys. Nasce la celebrazione dell’«endless summer», un’estate senza fine, simbolo di una giovinezza che non conosce il tramonto, eterna come le onde dell’oceano. Lo scenario cambia con la fine degli anni Settanta. Persino sulla west coast il sogno americano inizia a mostrare le crepe. L’ottimismo è soffocato dalle crisi politiche ed economiche. I giovani figli di una piccola borghesia indebitata leggono la frustrazione negli occhi dei loro genitori e vedono nubi nel loro futuro. Cercano una valvola di sfogo. Lo skateboard intanto entra nelle case. Letteralmente.

PISCINE VUOTE
Dalla fine del 1975 una eccezionale siccità svuota, anche per legge, tutte le piscine private della California del sud. Come scriveva Raymond Chandler «non c’è nulla di più vuoto di una piscina vuota». Ma dalla San Fernando Valley a San Diego i ragazzi trovano la soluzione. Le piscine asciutte sono trasformate in rampe da skateboard. Le tavole a rotelle cessano di essere mezzi di locomozione e diventano strumenti per acrobazie in verticale che sfidano la gravità. Sulle pareti curve di una vasca sembra davvero di essere sospesi come sulle onde del Pacifico anche se quando si cade ci si fa male. Il vuoto delle piscine rispecchia il vuoto che questa generazione sente dentro e la musica che meglio di qualsiasi altra parla a questo disagio è la musica punk hardcore. Il sodalizio diviene inevitabile. «Fu in questo momento storico – spiega Lele Lutteri ad Alias – che skate, punk e hardcore cominciarono a camminare su strade parallele. Successe in California per via probabilmente della natura “antisociale” di entrambe le culture, e poi grazie alla filosofia del do it yourself che caratterizzò entrambi i movimenti».
Sulla costa Ovest i nomi più in vista della scena punk sono Black Flag, Adolescents, Germs e Circle Jerks, arrivano poi Descendents, Minutemen e Redd Kross. Alcuni gruppi si associano esplicitamente allo skate: JFA, Odd Man Out, D.R.I., Ill Repute, RKL e Dr. Know. Tra questi ultimi spicca un nome, quello dei Suicidal Tendencies, band di Venice Beach che debutta nel 1983 con il singolo Institutionalized. La canzone è un caotico grido di dolore tra l’isterico e il disperato che descrive la frustrazione di un adolescente. Nel video del brano gli skate compaiono a ogni cambio inquadratura. Uno sfonda una televisione. Mike Muir, il leader della band, è uno skater e suo fratello Jim è uno dei membri originari degli Z-Boys, storico gruppo di surf skater di West Los Angeles. Institutionalized diventa uno dei primissimi video di hardcore punk a entrare in rotazione nella programmazione di Mtv. I Suicidal Tendencies si guadagnano una pessima fama per la loro associazione a gang locali e spesso i loro show si trasformano in risse, tanto che la contea di Los Angeles metterà al bando le loro esibizioni per cinque anni. Ma in un’epoca in cui il più grande crimine per un musicista punk è quello del «sell out», cioè di inseguire il successo commerciale, questo consolida la fama dell’hardcore e dello skate punk come controculture anti-sistema. I Suicidal Tendencies segneranno inoltre il punto di convergenza tra hardcore punk e metal, fondendo le due tribù urbane e nel 1987 pubblicano l’inno Possesed to Skate.

UN FILM
Il tutto è comunque troppo ghiotto per non attrarre l’interesse di una platea più ampia. Hollywood cerca di coinvolgere il pubblico giovanile cavalcando mode e movimenti, arriva quindi il primo film che celebra la cultura skate punk californiana. Si intitola Thrashin’ (in italiano poi passato in tv come Corsa al massacro) e vede come protagonista un imberbe Josh Brolin. Il film funziona da vetrina per i giovani campioni dello sport, oggi divenuti nomi leggendari della disciplina: Tony Hawk, Tony Alva, Christian Hosoi e Steve Caballero. Una sequenza ha però reso questo film a suo modo storico. Nel corso di una festa tra skater si esibiscono gli esordienti Red Hot Chili Peppers nella loro formazione originaria (Anthony Kiedis, Flea, Hillel Slovak e Jack Irons) e nella loro versione più energica, scapestrata e punkeggiante.
Un’altra band in quegli anni rivitalizza la propria carriera grazie alla scena skate. I Bad Religion, quartetto della San Fernando Valley, avevano esordito da giovanissimi nel 1982 con How Could Hell Be Any Worse? divenuto ben presto un disco di culto dell’hardcore californiano. La loro carriera sembrava già finita l’anno seguente dopo una sconclusionata svolta progressive. Decidono però dopo qualche anno di assenza di ricomparire con un nuovo disco che segna un pieno ritorno alle loro radici punk. Nel 1988 esce quello che è oggi considerato un classico, l’album Suffer. Come ricorda il chitarrista Brett Gurewitz nel libro di memorie della band Do what You Want, l’appoggio del mondo skate e surf è stato essenziale a richiamare l’attenzione della scena su di loro dopo anni di silenzio. «Chiamai – ha ricordato Gurewitz – i ragazzi di Thrasher (il magazine di riferimento del mondo skate, ndr) e dissi loro “Ehi, posso darvi delle audiocassette per la promozione dei nuovi abbonati, così chiunque si iscriva alla rivista riceverà il nuovo album dei Bad Religion?”. Risposero che ne sarebbero stati entusiasti. Si trattava di pagare una pubblicità in cassette, che però sarebbero giunte esattamente al miglior pubblico possibile. Fu un ottimo colpo». Poco dopo Brett Gurewitz, che è il patron dell’etichetta discografica punk Epitaph, riceve una telefonata da Kelly Slater, il Michael Jordan del surf. La richiesta è quella di poter usare la sua musica per i video che sta producendo. Gurewitz non solo dice di sì, non chiede alcun compenso, ben sapendo che il ritorno in pubblicità può essere colossale: «Dopo la pubblicazione del video di Slater – ha ricordato – tutte le aziende per surfisti e skater iniziarono a chiamarmi, perché sapevano che avrebbero potuto utilizzare la mia musica gratuitamente. Era ovvio. Che si trattasse di surf, skate o snowboard, la nostra musica si adattava alla perfezione». Il dado è tratto: il punk rock californiano passa dall’emarginazione ai dischi di platino e diventa una sensazione globale. Mtv, all’epoca bussola e barometro delle realtà giovanili, gonfia e cavalca l’onda. Lancia il programma Mtv Sports che vede le star musicali del momento alle prese con palloni da basket o skate. In una puntata a cimentarsi sulle rampe ci sono i newyorkesi Beastie Boys. La vocazione urbana dello skateboard è entrata anche nella nuova cultura che sta infiammando le metropoli a partire dai ghetti: l’hip hop. La street art e i graffiti vedono parimenti le tavole come una naturale estensione e un nuovo orizzonte creativo.
Dalla metà degli anni Novanta il più importante marchio di sneaker legate al mondo dello skate, Vans, diventa sponsor principale del Warped Tour, un festival musicale itinerante che ospita alcune delle band più in vista della scena rock alternativa, punk ma non solo. Alla prima edizione partecipano Deftones, Sick Of It All, L7, No Use for a Name. Alla seconda si aggiungono Blink 182, NoFx, Pennywise ma compare anche il patriarca del surf rock Dick Dale. Il 1995 vede la nascita degli X Games, una sorta di Olimpiadi adrenaliniche dedicate a sport estremi promossa dal network Espn. La manifestazione è scandita da musica ad alto volume e lo skate è la disciplina capofila, accompagnato da qualsiasi sport in grado di affollare i pronto soccorso ortopedici. Il cerchio si chiude. Dalle piscine vuote dei sobborghi californiani, al prime time televisivo. Dai bellicosi concerti hardcore, spesso interrotti dalla polizia, ai grandi festival musicali.

IN ITALIA
E in Italia? Lo skateboard compare, ci ricorda il libro Nessuna regola, nel 1977 grazie alla trasmissione Rai Odeon: tutto quanto fa spettacolo. Il rotocalco televisivo, che ha audience superiori ai 9 milioni di spettatori e va in onda sulla Rete 2, trasmette un servizio di un quarto d’ora dedicato a quella che viene definita Magic Rolling Board. L’Italia viene così coinvolta in un’ondata che cresce a dismisura, tanto da destare preoccupazione per i frequenti incidenti che coinvolgono i ragazzi. I centri urbani emanano ordinanze per mettere al bando la tavola a rotelle. Questa piccola mania nazionale è peraltro testimoniata da una dimenticata hit musicale di disco dance made in Italy datata 1978, Skateboard Dancing di Zach Ferguson, un brano che vuole portare lo skate, più che sulle strade, nelle discoteche e che è firmato da Detto Mariano, un compositore del clan di Celentano. Ma il destino dello skateboard in Italia non è né nelle discoteche, né nella cultura nazional popolare. Esaurita la prima fiammata di entusiasmo il mondo skate nostrano torna nell’alveo delle culture sotterranee. Si rinforza anche da noi il legame con movimenti musicali più vicini a un certo anticonformismo giovanile. «Lo skate si associa – spiega Lele Lutteri – alla musica punk, hardcore e metal pur rimanendo permeabile e ricettivo a contaminazioni, in primis quella dell’hip hop. La tavola, al pari di una chitarra distorta e di un testo urlato in un microfono, ha rappresentato uno strumento di lotta, di rottura e di contestazione nei confronti di una società orientata all’omologazione mentale e sociale». «In Italia – ricorda nelle pagine di Nessuna regola uno dei primi skater italiani, Fritz Conti -, nei centri sociali (Virus, Leoncavallo, Forte Guercio, Victor Charlie), sono iniziate le prime contaminazioni dello skate con il punk. In alcuni c’erano anche delle rampette o strutture dedicate. Molti punk cominciarono a voler diventare pseudo-skater».
I centri sociali autogestiti sono negli anni Novanta i punti di riferimento per le band indipendenti internazionali di punk, ma anche il fulcro di una scena nostrana con nomi quali Negazione, Nabat, Indigesti. Tanti ragazzi scoprono il punk proprio dal mondo skate, molti fondano proprie realtà che animano la scena hardcore nostrana. Lo stesso Fritz Conti milita in gruppi punk come Ghitarra Mitraglia e Leccioles 69. Ma i centri sociali sono fucina della prima ondata hip hop italiana. Si associano al mondo skate nomi come Isola Posse All Stars, Casino Royale, DJ Gruff o Frankie Hi-Nrg MC che scrive per parecchi numeri nella rivista specializzata Skate. Nel mondo delle etichette si segnala l’esperienza della padovana Green Records: nata sul finire degli anni Ottanta come etichetta punk hardcore è poi diventata inoltre negozio di dischi e skate shop.

DUE TENDENZE
Il movimento oggi, in Italia ma forse in tutto il mondo, si divide tra chi è legato all’etica primordiale e lo vive ancora con senso di appartenenza e chi ne ha accettato la commercializzazione e lo interpreta come un momento di intrattenimento. Dice Lele Lutteri: «Mi sembra che oggi si possano individuare due tendenze. Ci sono quelli che definirei nostalgici. Sono quelli che hanno vissuto o si rifanno allo skateboard degli esordi, quello delle fughe e delle multe dei vigili, quello del fenomeno proibito. Sono affezionati a quella tradizione. A loro si può ancora abbinare un genere musicale che però è rimasto quello di quegli anni. Perché oggi quel legame quasi esclusivo che si creò negli anni Settanta e Ottanta con la musica di rottura e di ribellione non esiste più. Il punk è stato dato in pasto al mainstream. Altri invece hanno accettato un mondo in cui per molti aspetti «vale tutto». Sia in termini di visibilità, sia in termini di contaminazioni anche musicali. C’è quindi chi lo vede ancora come un momento di aggregazione tra amici al parco e ascolta i vecchi dischi punk ed è geloso di questa filosofia e c’è chi pensa che ognuno debba vivere questa realtà come meglio crede, va nei moderni skatepark dove ci sono i bambini che fanno le lezioni e c’è un’atmosfera completamente diversa».
È la vecchia legge che ci ricorda che si nasce piromani e si muore pompieri. I Red Hot Chili Peppers, come numerosissime band del punk californiano, sono passati dai party di adolescenti skater ai mega festival rock. Vale forse la pena ricordare che il bassista dei Metallica, Robert Trujillo, era un membro dei Suicidal Tendencies e il chitarrista dei Foo Fighters e Nirvana, Pat Smear, dei Germs. Le culture DIY che sono state all’origine del fermento legato allo skate sono un ingranaggio della macchina del mainstream. Nella musica, e forse nella società, una semplice tavola con quattro ruote alla fine è diventata l’improbabile motore di un cambiamento epocale, tanto che oggi il primo skateboard posseduto da Tony Hawk è in mostra, come un reperto archeologico, al National Museum of American History di Washington.