Sul sito del Ministero della salute si legge che i «disturbi della nutrizione e dell’alimentazione (DNA), in particolare l’anoressia e la bulimia nervosa, sono un problema di sanità pubblica di crescente importanza». La pandemia ha di molto peggiorato la situazione e oggi si stima che più di tre milioni di persone in Italia soffrano di DNA, con un incremento del 30-35% e un abbassamento dell’età di esordio del disturbo. La complessità del fenomeno è accentuata dalla molteplicità delle cause e dall’incertezza intorno alle possibili misure di contrasto. Fra queste figura a pieno titolo l’attività sportiva, per la sua capacità di favorire una piena accettazione del proprio corpo e una sensazione di maggior benessere personale.

Se lo sport può indurre un approccio più rilassato nei confronti del proprio aspetto esteriore, la pressione riguardo alle prestazioni rischia invece di inviare un messaggio di segno contrario. Sempre il Ministero della salute ci informa infatti che le persone che praticano sport agonistico sono più soggette a sviluppare un DNA perché più inclini a monitorare ossessivamente il proprio peso, principalmente negli sport in cui la magrezza è esaltata per ragioni di apparenza o di eccellenza.

Una delle prime personalità a patire le conseguenze nefaste di un DNA, e degli effetti perversi dell’esercizio atletico eccessivo, fu Elisabetta Amalia Eugenia di Wittelsbach, che nell’aprile di 170 anni fa divenne imperatrice d’Austria in seguito alle nozze con Francesco Giuseppe. Più conosciuta con il nomignolo di Sissi, era assai diversa dalle forme morbide e minute di Romy Schneider, che l’ha eternata nella celebre trilogia austriaca degli anni ’50. La vera Elisabetta era sottile e slanciata.

Se si pensa che ancora durante la Prima guerra mondiale, il soldato medio non misurava più di 1,65 metri, i 172 centimetri di Elisabetta ne facevano un’autentica spilungona, più che mai torreggiante per l’incedere regale, la figura esile e la sottigliezza del girovita, contenuto in soffocanti corsetti con cui le cameriere armeggiavano per ore. L’avvenenza era il suo chiodo fisso. Per questo quasi si asteneva dal nutrirsi e si pesava tre volte al giorno, annotando minuziosamente ogni più impercettibile variazione: 50 kg era il limite massimo che si era imposta e quando si avvicinava pericolosamente a tale soglia, non esitava a ridurre i già miseri pasti quotidiani. Non meno sfiancanti erano le interminabili cure di bellezza con maschere per il viso di carne di vitello, impacchi di olio di oliva e bagni tonificanti.

Sissi nacque e crebbe in un contesto culturale nel quale il corpo femminile era ostaggio del predominio maschile. La donna era il mero involucro contenente in potenza e di fatto la discendenza del maschio, funzione più che mai pressante per la moglie dell’Imperatore d’Austria, obbligata a garantire un erede al trono. D’altra parte, all’incirca negli stessi anni, gli sport iniziarono a dilagare in Europa: in grado di demolire il luogo comune della presunta fragilità muliebre rivestendo il corpo di attributi nuovi, lo sport era rivoluzionario. Tuttavia, fu subito chiara l’ambivalente azione che esercitava sulla percezione della propria fisicità, un’ambivalenza che Elisabetta incarnava alla perfezione.

Durante l’età vittoriana, alla donne si richiedeva che diventassero mogli irreprensibili e per quanto le faccende di casa non escludessero affatto gravosi impegni fisici, lo sport era sconsigliato, salvo le discipline meno faticose come l’equitazione. Per questo Sissi non destava eccessivo stupore come cavallerizza, quanto invece per l’ardimento con cui saltava i fossati più larghi e valicava gli steccati più alti, lanciando il proprio destriero in furiose galoppate che avevano l’obiettivo di mantenerla snella e in forma. Nel farlo, non osava mettere a repentaglio i propri standard di bellezza, perciò indossava abiti che le venivano letteralmente cuciti addosso e al posto della biancheria portava una finissima guaina di pelle di camoscio inumidita, che la fasciava come una seconda epidermide.

Nel 1877, in occasione di un viaggio in Inghilterra, lo scrittore americano Henry James rimase ammirato da quanto si svolgeva nei giardini delle signorili case inglesi, dove un certo numero di amabili e simpatiche ragazze, un po’ arrossate e un po’ spettinate, si dilettavano nel gioco del tennis, correndo sul prato con grande libertà di movimento. A dire il vero, la mobilità fisica era cospicuamente impedita da un abbigliamento ancora troppo ingombrante. Braccia e gambe erano integralmente coperte, mentre il seno era trattenuto dai corsetti in stecche di balena. Grembiuli, sottovesti e massicci stivaletti alla caviglia completavano un insieme pensato più per scongiurare inaccettabili occhiate che per facilitare gli spostamenti sul court.

Si trattava in effetti dei primi vagiti di una cultura nuova, che restituiva centralità alla corporeità umana, dopo secoli di rimozione e mortificazione del corpo, da sempre campo di battaglia nella lotta per il potere nei rapporti di genere. Questa rivoluzione offriva una preziosa sponda ai nascenti movimenti di emancipazione femminile, pronti a reclamare una liberazione dei canoni di comportamento e di abbigliamento dalle ipoteche della morale e dello sguardo maschile.

L’enfasi che lo sport poneva sull’aspetto fisico e sulla prestanza atletica, oltre a liberare il corpo da costrizioni secolari, prefigurava però nuovi tipi di vincoli, i cui prodromi si colgono appunto nell’ossessione di Elisabetta per il fitness. Per il mantenimento della silhouette desiderata, l’Imperatrice aderiva a un’intensa routine di allenamenti.

Allo scopo, pretese che le varie residenze fossero dotate di sbarre e spalliere attaccate alle pareti, anelli penzolanti dai dorati soffitti a cassettoni e manubri di diversa pesantezza, con cui si estenuava in prolungati esercizi per mantenere tonico e giovane un corpo unanimemente magnificato, ma incessantemente tormentato. Insieme al rigidissimo regime alimentare, la fatica della ginnastica le restituiva la soddisfazione impagabile della piena efficienza estetica, per cui era portata di bocca in bocca con estasiata ammirazione. Ma a che prezzo!

Negli stessi anni in cui Karl Marx denunciava la triste condizione degli operai, spossessati del prodotto del proprio lavoro e strumenti passivi del processo produttivo, Sissi si poneva all’inizio del lungo processo che avrebbe condotto a uno dei gradi più elevati di alienazione. Proprio mentre le donne assaporavano l’ebrezza di un inedito controllo sul proprio corpo, l’avvenente Sissi ne divenne irrimediabilmente schiava. Auto-reclusa nella prigione della propria bellezza, esaurita dalla vita di corte, delusa dal fedifrago consorte, dovette convivere precocemente con uno stato di salute costantemente precario, cui certo non erano estranee le diete aberranti, l’astinenza alimentare e gli eccessi atletici. Quando sul lungolago di Ginevra il suo petto stretto nel busto incontrò l’acuminato punteruolo brandito dall’anarchico Luigi Lucheni, l’Imperatrice d’Austria viaggiava in incognito ormai da anni ed era abituata a celare la vergogna delle rughe dietro l’inconfondibile ventaglio.