ExtraTerrestre

Sinergici e antistress, gli «orti storti» del Campidano

Reportage Un singolare esperimento di agricoltura alternativa allo sfruttamento intensivo ad Arborea, in Sardegna

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 2 agosto 2018

Gli orti storti». Si chiama così la piccola azienda agricola di Ariano Piras, un creativo contadino sardo quarantenne che qualche anno fa ha scelto di rispondere alla crisi della propria attività rivoluzionando insieme il metodo e il significato del suo lavoro. La scritta «Gli orti storti: agricoltura sinergica, naturale e del buon senso» risalta in blu sul bianco del furgoncino che Ariano usa per trasportare quello che produce e vende direttamente. «Il nome – racconta – mi è subito piaciuto perché le parole fanno rima, ma a parte questo è proprio adatto perché io in effetti gli orti li semino e li lascio crescere volutamente storti, imitando la natura, e poi perché mi sento davvero storto rispetto al contesto in cui mi trovo».

Siamo in provincia di Oristano, nella zona di Arborea, un paese di quattromila abitanti che con la sinuosità delle linee curve non ha molto a che vedere. Strade e case allineate si affacciano su distese di campi squadrati e monocoltivati. In piena estate il verde ordinato del mais è così invadente da far pensare che siamo in un angolo di pianura padana, trasferito chissà come nel Campidano, a pochi passi dal mitico mare della Sardegna e dagli stagni salmastri dove volano i fenicotteri rosa. Arborea, bella e suggestiva nella sua stranezza, è un capitolo aggiunto di recente dal fascismo alla lunga storia di questa terra. La città-modello fu inaugurata nel 1928 con il nome di Villaggio Mussolini, mutato in Mussolinia due anni dopo, sul suolo strappato agli acquitrini malarici dalla bonifica. Una comunità ideale, organizzata su razionalità e gerarchia, ma non ancora totalitaria sul piano estetico, come dimostra l’allegro eclettismo delle architetture, dove neogotico, liberty e neoromanico “alpino” convivono indisturbati con il razionalismo anni trenta. Il nome Arborea arrivò nel dopoguerra, con riferimento meno imbarazzante all’antico giudicato di Arborea, uno dei quattro stati indipendenti della Sardegna bassomedioevale. L’eredità fascista fu in qualche modo lasciata alle spalle, ma questo paese edificato dal nulla e popolato con i coloni provenienti del Veneto e dal Friuli (ancora oggi in autunno c’è la sagra della polenta) era predestinato a rimanere un fiore all’occhiello. Dagli anni cinquanta è un centro di punta della produzione agricola e dell’allevamento bovino in Sardegna. La Cooperativa 3A, che qui ha sede da allora, può contare oggi su una rete di oltre duecento aziende che mettono insieme il 90% del latte di vacca prodotto nell’isola e distribuito dal marchio Arborea.

«Loro lavorano per il business – obietta Ariano – non per vivere meglio. Premiano la mucca che fa più latte, almeno il doppio di una mucca normale. Il chiodo fisso è la quantità». Più che alle grandi stalle dotate di ogni comfort, lui pensa agli orti che ancora spiccano con i loro colori tra le case dei paesetti che si arrampicano per le colline. È l’agricoltura sinergica, come l’ha battezzata Emilia Hazelip (1937-2003), pioniera dell’agricoltura sostenibile e permanente (permaculture). «Basta seguire la natura. In qualsiasi spazio naturale piante diverse condividono la stessa terra e quelle che riescono a stare bene tra loro sopravvivono». Piante diverse che crescono insieme e si aiutano a vicenda, allontanando per esempio certi i parassiti l’una dall’altra. Come fa il basilico con il pomodoro: «La mosca bianca attacca tutti e due, ma preferisce il basilico. Mettendoli vicini si risparmiano i pomodori e di basilico ne rimane comunque abbastanza perché ne cresce tanto. In più, il gusto del pomodoro migliora. Il tutto senza usare insetticidi, diserbanti o fertilizzanti chimici. Solo letame naturale».

C’È UNA SCIENZA, ricavata da pratiche antiche e moderne, dell’associazione sinergica delle piante dell’orto. Si tratta infatti prima di tutto di conoscere meglio quello che la natura già fa creando ecosistemi complessi in cui le piante selvatiche di regola prosperano. Progettare piccole e variegate “società vegetali” per ricavarne del cibo sano senza stressare troppo la terra e gli altri esseri che la abitano, è dunque un viaggio conoscitivo che ribalta le prospettive dell’agricoltura intensiva, basata sul «prima spara e poi chiedi chi è». La tradizionale distinzione tra erbacce e piante utili cade: prima di poterla definire un’erbaccia, bisogna sapere quali opportunità una pianta potrebbe offrire. Erbe e fiori selvatici sono quindi i benvenuti. «L’orto sinergico – conclude Ariano – è bellissimo da vedere».

NON SI TRATTA però, sottolinea, di pura fascinazione estetica o di nostalgia di un passato presunto naturale. È una soluzione anzitutto pratica, che consente di guadagnarsi da vivere in modo dignitoso. Ariano non è un fricchettone che ha scoperto il biologico, la sua famiglia vive di agricoltura da sempre. «Mio nonno faceva il contadino. Erbai e barbabietola da zucchero per l’industria che poi entrò in crisi. Mio padre ha aumentato gli ortaggi e ha impiantato le serre per avere una produzione più abbondante e continua. Dopo una quindicina d’anni ci siamo resi conto che lo sfruttamento eccessivo sterilizzava il terreno. Così ho messo la terra a riposo e ho avuto l’incontro fatale con un vecchio amico che mi ha parlato dell’orto sinergico. In un momento di crisi in cui pensavo di essere costretto a cambiare lavoro è stato amore a prima vista. Nel 2010 sono passato ai metodi alternativi».

L’ALTRO PILASTRO su cui si fonda il bilancio sostenibile di Ariano è la vendita diretta della verdura di stagione e della frutta che riesce coltivare sui suoi 3 ettari di terreno, nonché delle uova delle sue 78 galline libere di razzolare come pare a loro. La vendita diretta permette di eliminare i passaggi intermedi che si ripercuoterebbero negativamente sul prezzo dei prodotti e anche di creare un proficuo stile di relazioni con i consumatori. «L’associazione di produttori di cui faccio parte, l’Agorà del chilometro solidale, organizza un mercatino bisettimanale a Cagliari. Per ora siamo in otto ma stiamo lavorando per crescere. Mi piace avere un rapporto con il cliente. Io ci metto la faccia, ti vendo quello che coltivo e tu se non sei soddisfatto vieni da me quando vuoi e ne parliamo. Tra l’altro anche la mia roba è a volte un po’ storta, che sarebbe un problema se dovessi piazzare i miei prodotti secondo le regole del mercato. Il gusto però è buono. E i clienti tornano».

PER IL FUTURO Ariano spera di riuscire a ingrandire l’attività fino a dar lavoro ad altre due persone. Poi è già pronto a fermarsi, perché «il sistema dell’orto sinergico ha dei limiti intrinseci e perché l’eccesso di produzione è il nemico da combattere. Per coltivare e stare meglio dobbiamo abituarci all’idea di decrescere. Molti produttori resistono alla prospettiva di dover fare un passo indietro per poter andare avanti, ma dovranno farci i conti in futuro. Quelli che la pensano come me sono sempre più numerosi e sono pure di moda. Stiamo arrivando».

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