Tra le immagini che resteranno nel cuore dall’inaugurazione della Biennale Danza di Venezia 2023 diretta da Wayne McGregor con il titolo Altered States emerge l’istante legato a una mano anziana che accarezza delicatamente la forma del dorso e della coda della statuetta di quell’animale alato, da anni simbolo di uno dei maggiori Premi dell’istituzione lagunare, il Leone d’oro alla carriera. Siamo alla Sala d’Armi, all’Arsenale, in collegamento da Los Angeles è Simone Forti, classe 1935, nata a Firenze, emigrata bambina in America per intuizione del padre rispetto a quanto sarebbe successo sotto il fascismo verso gli ebrei, pioniera rivoluzionaria del post-modern americano, artista il cui lavoro sul movimento è il frutto dell’intreccio costante tra danza, coreografia, disegno, fotografia, video: è lei il Leone d’Oro alla carriera della Biennale Danza.
Segue da casa l’apertura a Venezia della mostra che porta il suo nome, Simone Forti, un’antologica arrivata in laguna attraverso la collaborazione con il Museo d’Arte Contemporanea di Los Angeles (MOCA), aperta per tutto il festival fino al 29 luglio. Il Parkinson non ha impedito a Forti di mandare a Venezia un toccante contributo video in cui l’artista riflette con intelligenza e brio sul senso del Premio oggi e sul riconoscimento di una ricerca che ha ancora molto da dare. La carezza sul corpo del Leone ricollega da Los Angeles Forti ad alcune delle sue opere in mostra, disegni su elefanti, orsi polari, danze partite dall’osservazione del movimento negli animali, nate alcune anche a Roma negli anni Sessanta.

LA LETTURA da parte di McGregor della motivazione al Leone ha avuto alle spalle la proiezione di Zuma News, performance girata da Simone nel 2013 sulla spiaggia di Malibu. Fa parte delle News Animations, serie ispirata all’attenzione che aveva il padre di Simone per l’attualità. L’artista è accovacciata a un passo dalle onde. Il corpo frena sotto di sé un mucchio di giornali che si bagna, si mischia con le alghe, un’immagine semplice che eppure è lampante visione di quanto ciò che accade nel mondo incida sulla storia personale e collettiva che è sempre corpo e movimento.

Simone Forti ‘accarezza’ il Leone d’Oro alla carriera
Una scena da “Bogota” di Andrea Peña

NELLA SALA D’ARMI da non perdere anche le Dance Constructions, rimontate dal vivo per alcuni danzatori del College della Biennale da Sarah Swenson, artista che da anni si occupa del lavoro di Forti. Sono performance fatte per la prima volta nel 1960 nella casa di Yoko Ono a New York. Giocate su una parete di compensato (Slant Board), su anelli di corde appesi al soffitto (Hangers), sull’intreccio tra i corpi (Huddle). «Forti da L.A.: «Straordinario per me vederle ancora in scena. Qualcosa che ha a che fare con l’esperienza del corpo, quando si cammina, quando si sta appesi a una corda, quando si sente di occupare uno spazio. Mi sono sentita stranissima a essere qui a guardarvi e a parlare di me. Vi ringrazio dopo tanta strada». L’apertura del festival vede anche in scena fino a domenica il debutto della produzione vincitrice del bando Biennale Danza 2023 per una nuova creazione internazionale: Bogota della coreografa colombiana Andrea Peña, spettacolo teso, che volutamente si riavvolge e riapre su stesso attraverso un segno fortemente esposto tra sacro e profano, mettendo in scena, con una visionarietà barocca, le battaglie del corpo queer.

Nella foto cena dallo spettacolo di Oona Doherty “Navy blue”, foto di Sinje Hasheider

COPRODUZIONE anche per Navy Blue di Ohna Doherty, Leone d’Argento 2021, sul Concerto per pianoforte n. 2 di Sergej Rachmaninov e composizione di Jamie XX. Il blu è malinconia, timore, una danza collettiva di prigionieri, di combattenti (ottimo cast di danzatori selezionati da tutta Europa), dove si muore uno dopo l’altro per un colpo d’arma sparato dalle ingiustizie della società. Testo nella seconda parte da stringare a vantaggio di un’efficacia comunicativa, assolo finale di grande impatto, una voce per la libertà, con la magnetica Kinda Gozo.