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Simone Biles, la salute mentale oltre l’ostacolo

Simone Biles, la salute mentale oltre l’ostacoloSimone Biles

Sport La decisione della ginnasta americana di concedere la ribalta, nel punto più alto della sua carriera, a un tema sottovalutato: la depressione

Pubblicato quasi 3 anni faEdizione del 17 dicembre 2021

Il coraggio di mettere la salute mentale davanti a tutto. Anche a un pugno di medaglie d’oro alle Olimpiadi. Il recente premio della celebre rivista Time di sportivo dell’anno, assegnato alla ginnasta americana Simone Biles, è il riconoscimento a una fuoriclasse che ha saputo concedere la ribalta nel punto più alto della sua carriera a un tema sottovalutato, la depressione degli atleti, il peso della vittoria e degli insuccessi. Poteva vincere cinque ori olimpici a Tokyo 2020 dopo averne centrati quattro alle Olimpiadi di Rio 2016. Cinque anni di allenamenti, di attesa, di prove, poi in pedana la retromarcia: Simone ha deciso di ritirarsi dalle gare, consumata dalla tensione, dalle pressioni, dall’obbligo di portare a casa il bottino pieno, da «i suoi demoni interiori», i disturbi d’ansia e gli improvvisi blocchi mentali che provocavano perdite di orientamento durante gli esercizi.

MAI NESSUNO aveva denunciato con questa forza, anche mediatica, la questione del benessere mentale degli atleti. «Simone Biles da sola non cambierà le dis diseguaglianze nella salute mentale, né costringerà una società che ha a lungo aderito a parole all’importanza della salute mentale a fare di più, ma ha reso molto più difficile distogliere lo sguardo», questa è stata la motivazione del premio di Time. Il tema dell’eccessiva pressione nello sport, che non è uguale per tutti non ha ovviamente toccato solo la 22enne ginnasta americana. La tennista giapponese Naomi Osaka, favorita anche lei per l’oro olimpico a Tokyo, uscita agli ottavi di finale in lacrime, ha poi confessato di non aver retto alle pressioni, ci sono altri casi celebri come Michael Phelps, forse il più forte nuotatore di sempre, oppure Kevin Love, cestista dei Cleveland Cavaliers (Nba) che pure ha avuto il merito di parlare pubblicamente della depressione e del benessere mentale degli atleti.

NEL CALCIO è toccato ad Alvaro Morata della Juventus, allo spagnolo Fernando Torres, all’ex tecnico del Milan e della nazionale italiana Arrigo Sacchi, che per lo stress eccessivo lasciò incarichi al Real Madrid e al Parma. E c’è stato chi come Federica Pellegrini, consumata in passato da attacchi di panico in acqua, è riuscita ad affrontare il problema e uscirne anche più forte. Ma Simone Biles, segnata nel suo percorso dalla dipendenza da droghe della mamma, dai continui affidamenti, dall’adozione dei nonni, dal deficit dell’attenzione, traumatizzata dagli abusi subiti dall’ex allenatore della squadra di ginnastica femminile americana, Larry Nassar (riconosciuto un risarcimento danni da 380 milioni di dollari dalla federazione alle atlete vittime degli abusi) è riuscita ad andare oltre, portando investimenti e notorietà a una startup di San Francisco – si chiama Cerebral, lanciata sul mercato a gennaio 2020 e ora dopo aver raccolto oltre 300 milioni di dollari dal venture capital vale quasi cinque miliardi di dollari sul mercato – che si concentra su salute e cura del benessere mentale.

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