Silvio l’acrobata spera nella rivincita: «Dal 9 marzo torno in campo io»
Forza Italia Minacce anche a Salvini: «Niente diktat»
Forza Italia Minacce anche a Salvini: «Niente diktat»
Solo contro tutti. Di fronte a una sessantina di parlamentari tra cui Denis Verdini, assenti i fittiani, Berlusconi dichiara guerra. A Matteo Renzi, che ha «interrotto il percorso comune», ma anche a Fitto che «in una settimana, due massimo, deve decidere: dentro o fuori. Se se ne va e fa un suo partito, arriva all’1,3%. Meno dell’Ncd che sta all’1,5%». Silvio il guerriero solitario mostra i denti però anche al nuovo alleato, Matteo Salvini: «Siamo amici, ma non accettiamo diktat né sui nomi dei candidati alle Regionali né sulle alleanze. Non daremo le chiavi del centrodestra a Salvini». La replica del quale sarà immediata e tagliente: «Non facciamo diktat, ma non ci alleiamo ogni 15 giorni con questo o con quello. Per un accordo con noi ci vogliono coerenza e coraggio».
Il Berlusconi reduce dalla batosta del Nazareno fallito somiglia all’equilibrista che cammina su una fune tesa sull’abisso, confidando solo nella sua capacità di riconquistare l’amore degli elettori di destra quando potrà finalmente lasciare la panchina: «Dal 9 marzo sarò di nuovo pienamente in campo. Sono sicuro che sarete con me».
Sulle riforme invece il Furioso appare meno determinato di quanto non sia realmente: «Continueremo ad appoggiare ciò che riteniamo utile per il paese e alla fine del percorso decideremo il voto finale». Non è un’apertura, magari dovuta al rinvio del decreto fiscale, con tanto di norma salva-Silvio, fino a maggio, dopo il voto sulla legge elettorale. In quell’àncora di salvezza, il condannatissimo non ci spera più. È solo che per far ingoiare alla base azzurra la repentina inversione di marcia ci vuole un po’ di tempo. In realtà Berlusconi ha deciso. Alla Camera, ieri, i forzisti hanno iniziato a bocciare gli emendamenti del governo. Quando afferma che «continuare col patto del Nazareno sarebbe ottuso e nefasto», l’uomo non potrebbe essere più esplicito.
Le conclusioni a cui Berlusconi arriva ora sono al millimetro quelle prefigurate dall’opposizione interna. In un altro partito, la conseguenza logica sarebbe un ricambio al vertice. Ma Fi non è un partito come gli altri. È una monarchia assoluta dove le simpatie e le antipatie del monarca contano più di qualsiasi ragionamento politico. Quando dichiara che «la linea seguita sin qui era la mia, se c’è una responsabilità è la mia», può sembrare un condottiero responsabile, che non scarica sui subordinati le colpe. In realtà sta solo sbarrando la strada alle richieste di Fitto. Non a caso subito dopo arriva l’ultimatum.
Il viceré pugliese tiene botta: «Caro presidente, ancora una volta stai sbagliando tutto. Perché c’è l’ipotesi di una nostra cacciata? Perché avevamo ragione sulle riforme e purtroppo su tutto il resto? Perché facciamo opposizione? Perché troviamo surreale il passaggio in due giorni da ‘Forza Renzi’ a ‘Forza Salvini’?». Tutto giusto, per carità. Ma non in un partito che è sempre stato e sempre sarà proprietà personale di Berlusconi e nel quale, dunque, poco importa quanti errori abbia infilato il «cerchio magico» se il re lo vuole ancora con sé sul ponte di comando.
Nella follia di Berlusconi, del resto, c’è del metodo. Quando afferma che Fitto, come tutti prima di lui, ultimo della riga Alfano, da solo non ha nessuno spazio politico, squaderna una cruda realtà. Il pugliese conferma che andrà avanti con la kermesse nazionale dei suoi «ricostruttori» il 21 febbraio. Annuncia trionfale che si è dovuto cambiare sala, tante sono le adesioni che arrivano. Ma alla fine il grosso dei voti azzurri resterà a Fi, resterà a Silvio Berlusconi. Se qualcuno può sostituirlo come leader della destra, non si tratterà in nessun caso di questo o quello tra i suoi ex ufficiali.
Forte di questa certezza, Berlusconi parte per l’impresa di ricostruire l’asse con una Lega che in questo momento sa bene di avere il coltello dalla parte del manico. È convinto che basterà il suo ritorno in scena per riequilibrare la situazione. Alla fine dell’assemblea i presenti approvano all’unanimità il documento del capo, ma gli assenti sono tanti e i davvero convinti pochissimi. La nuova e disperatissima partita di Silvio Berlusconi inizia così.
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