Silvia Rocchi, sopravvissuti in cammino
Intervista Una visione del disastro ecologico in «Vuoto a rendere»
Intervista Una visione del disastro ecologico in «Vuoto a rendere»
Fumettista e illustratrice, Silvia Rocchi pubblica graphic novel da oltre dieci anni. Tra i suoi lavori si rintracciano sottogeneri piuttosto diversi: sono numerose le biografie a fumetti-quelle di Alda Merini e Tiziano Terzani (Beccogiallo, 2012 e 2013) e quella su Ettore Majorana, scritta con Francesca Riccioni (Rizzoli Lizard, 2015); c’è un reportage di viaggio autobiografico da un itinerario in moto nei Balcani con l’amica e collega Alice Milani (Tumulto, Eris edizioni, 2016) e ancora un racconto gran formato, Susi corre uscito per Canicola. Ci sono due lavori che potremmo ascrivere al genere della working class literature: Brucia (Rizzoli Lizard, 2017), una storia operaia che ruota attorno alla vita di fabbrica, così come il suo precedente fumetto, che è la trasposizione del reportage di Gianni Rodari sullo sciopero dei minatori di Ancona nel 1952, I sepolti vivi, (Einaudi ragazzi, 2020).
A prescindere che si tratti di storie biografiche, in cui l’elemento di realtà è fondamentale, o di racconti di fiction, dove i personaggi vivono dell’immaginazione dell’autrice, nei fumetti di Silvia Rocchi, vi è un’attenzione speciale alle relazioni umane, alle emozioni dei personaggi. Questa cura per il character design e per i legami tra i personaggi si traduce in una perizia particolare per la drammatizzazione e le fisionomie da un lato, e per la creazione di dialoghi dettagliati dall’altro.
L’altro filo rosso che tiene insieme titoli tanto diversi è l’accuratezza tecnica che è cifra del lavoro dell’autrice e la passione per specifiche tecniche di stampa, come la monotipia, che si affaccia in modo abbastanza puntuale tra le pagine a fumetti. Il nuovo fumetto di Silvia Rocchi si intitola Vuoto a rendere ed è in un certo senso la summa di questi aspetti. Il racconto si centra sul viaggio che Eva intraprende attraverso luoghi stravolti da una catastrofe climatica. La terra è stata sommersa dalle acque, Eva ha perso tutto e si mette in cammino. Così incontra un’altra donna e poi il giovane Dario, con i quali continuerà a camminare e nuotare attraverso questo nuovo mondo liquido. Il libro è uscito in novembre per 24Hcultura – che ha di recente inaugurato una collana di fumetti – e ne abbiamo parlato con l’autrice a Livorno durante un appuntamento del Brunch a Fumetti.
Come nasce un progetto tanto distante dalle storie alle quali ti sei dedicata fino ad oggi?
Il soggetto nasce da un input della casa editrice che mi dato solo una parola: clima. Visto che viviamo una crisi climatica, ho pensato di raccontare la sopravvivenza a una catastrofe dal punto di vista di una protagonista che si mette in cammino per cercare i suoi cari, o qualcosa che le ricordi la vita precedente.
Viaggio e vita passata si distinguono nel libro anche per tecnica utilizzata.
Esatto, il viaggio attraverso la terra sommersa è interamente realizzato nei toni del blu con la tecnica di stampa della monotipia: si tratta della stampa di un’incisione, che poi scansiono, aggiungendo dopo nuvolette e testi-che ovviamente risulterebbero altrimenti capovolti. Le sequenze dei ricordi-che nell’immaginario comune sono soliti essere sbiaditi- sono disegnati con i pastelli e risultano molto vividi.
Ci muoviamo quindi nel terreno della distopia post catastrofe?
Sì, ma a livello narrativo Vuoto a rendere è anche un romanzo di formazione; la protagonista parte da una situazione di perdita e cresce, spostandosi. Ha perso tutto e le interazioni con i personaggi comprimari sono piuttosto semplici: si cerca qualcosa per vestirsi, o un frutto da mangiare. In fase di editing abbiamo individuato un concetto chiave, quello di tornare all’interazione di base: come ci si aiuta, se ci si aiuta quando non abbiamo niente da perdere.
Questa interazione passa necessariamente dalle storie del passato di ognuno dei tre personaggi, come se il raccontare fosse un atto di resistenza…
C’è una necessità di condivisione e confronto anche nell’intrattenimento, così come un tentativo di tornare a simulare sensazioni del passato.
Torniamo un momento alla tecnica: hai già usato la monotipia, ma è la prima volta che questa accoglie la gabbia del fumetto. Sembrano quasi le pagine di una testimonianza diretta, per il segno un po’ sbiadito, acquoso, slavato.
È una riflessione interessante, quando ci mettiamo a lavoro su qualcosa spesso non sappiamo come verrà accolta o interpretata dai lettori.
Il passaggio ai ricordi avviene spesso attraverso la figura umana rappresentata attraverso la sovrapposizione di matita a monotipia. Il corpo è depositario della nostra storia?
Assolutamente, e del tempo. I corpi sono fondamentali in una narrazione ridotta all’osso come questa, perché sono il fulcro dell’azione. Tra l’altro i personaggi hanno età diverse e quindi anche il loro modo di muoversi è diverso.
Nella sequenza iniziale la figura umana, che si farà più dettagliata attraverso l’incontro con gli altri personaggi, si distingue nitida in mezzo alla massa di acqua, al mondo sommerso. A cosa ti sei ispirata?
Ho pensato a La terra dei figli di Gipi, che racconta una storia che avviene dopo che il mondo come lo conosciamo è finito. Per il racconto orale tra le persone mi ha influenzato un lavoro di Leo Lionni, Federico, la storia di un topolino poeta, che sembra non far niente, ma che quando arriva l’inverno aiuta la comunità attraverso i ricordi della primavera. Ecco l’importanza del racconto.
Verso la fine del libro il viaggio dei tre personaggi è minacciato dall’esplosione di un ordigno intimidatorio. Ci sono altri sopravvissuti che cercano di rassicurarli e convincerli ad andare con loro per popolare la città nuova, in un mondo dove verranno ristabiliti i confini. Questo crea una relazione tra i ricordi dei personaggi –perlopiù dolorosi e sofferti- e il mondo precedente alla catastrofe.
Lavorando mi sono resa conto che riportare le relazioni a zero tra i personaggi e rappresentare dei viandanti nudi, poteva far pensare alla condizione dei migranti; da quel punto in poi ho iniziato a pensare ai confini e a un ordine da ristabilire. I tre personaggi stabiliscono invece tra loro un patto di fiducia interno; le persone che hanno fatto esplodere l’ordigno non guadagnano la loro fiducia, per come si pongono e per quello che rappresentano.
Per ristabilire un patto di fiducia tra umani dobbiamo perdere tutto?
No, sfaterei questo cliché, quello per cui si sta bene insieme soltanto nel dolore. Anche senza catastrofe possiamo unirci.
Da dove viene il titolo, «Vuoto a rendere»?
Mi sono chiesta se l’incontro tra questi tre personaggi fosse regolato da fini specifici o se la loro unione fosse invece disinteressata. Non mi sembra che si muovano per secondi fini. Il loro vuoto, il mondo svuotato in cui vivono, lo condividono e se lo rendono tra loro.
Il libro ha un finale aperto, che si lega molto bene al concetto dell’avanzare, dell’andare avanti…oppure stai preparando un seguito?
È un racconto autoconclusivo, ma questa non è la prima volta che mi trovo a pensare che i miei personaggi possano continuare a vivere in altre storie, quindi sì, sarei pronta per andare avanti con il racconto dei tre sopravvissuti alla catastrofe.
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