Silent Hill 2, l’orrore dentro e fuori
Games Una esperienza videoludica che è un'opera sull'angoscia, un gioco più struggente che divertente
Games Una esperienza videoludica che è un'opera sull'angoscia, un gioco più struggente che divertente
Talvolta la nebbia illude di una sua dissoluzione, per la strade umide di una qualità lacrimosa che si snodano attraverso le architetture sfocate di Silent Hill, ammuffite dalla bruma. Sembra che questi fumi molli e mobili tendano a rarefarsi così che un sole remoto possa affermare un suo vago lucore, imporsi sull’incertezza vaporosa. Eppure l’effimera tinta giallastra che si intravede per qualche attimo filtrando tra le falangi nebulose torna a ritirarsi mentre il grigiore si espande, salendo «agli irti colli», scendendo, colando, infiltrandosi.
Neppure il vento che ogni tanto soffia violento dissipa la foschia, ma alimenta i suoi vortici opprimenti, come fuoco gassoso. Camminare per Silent Hill è viaggiare per ritrovarsi sempre senza speranza, perché smarrirsi è un’opzione migliore, non c’è sollievo alcuno nell’anamnesi, nessuna redenzione in questo «alitante Tutto» in cui naufragare e sprofondare non è «suprema letizia» ma il ripetersi infernale della morte, la costante affermazione della colpa.
Non c’è pace nel rifacimento di Silent Hill 2 per PlayStation 5 e PC, capolavoro horror di Konami che torna in una nuova e più agghiacciante interpretazione dopo 23 anni per mano di quegli artigiani dell’angoscia finora quasi sempre solo contemplativa che sono il Bloober Team. Non c’era pace neanche nell’originale del 2001, tuttavia i suoi pixel più rarefatti, le sue più prevedibili inquadrature precalcolate e una maggiore astrazione emotiva nel disegno di corpi e volti contribuivano a dichiararlo almeno in parte «solo» un videogioco angosciante e spaventoso.
Nel remake invece ci si dimentica di giocare, di avere un obbiettivo ludico, per vagare attoniti nella rappresentazione di un incubo esistenziale sui delitti e i loro castighi. Non è una questione di paura, sebbene questo Silent Hill 2 la trasmetta eccome, con mezzi che non sono quelli convenzionali dei film del terrore da pop corn o dei videogame e neppure lontanamente del carnascialesco tunnel dell’orrore; si tratta invece di tormento, un affannoso malessere che accompagna tutto lo svolgimento rivelando in maniera esemplare la necessità dell’horror di non essere divertente in nessuna maniera, di non essere solo teatro grandguignolesco o esposizione di crudeltà splatter il cui artificio provoca un liberatorio disgusto.
Perché giocare – appunto è fondamentale questo «giocare» – a Silent Hill 2 se da questo non si trae nulla di piacevole, anzi solo struggimenti? Non è la prima volta che si dice che i giochi non debbano per forza divertire, e titoli indipendenti più sperimentali continuano a mettere in pratica questo principio da anni in maniera assai efficace. Tuttavia qui si tratta di un’opera mainstream, che riesce a negare un dissonante divertimento all’attività ludica in maniera ancora più riuscita di due titoli comunque eccezionali come The Last of Us 2 e Hellblade 2. Ecco Silent Hill 2 è un’opera d’arte sull’angoscia, un urlo di Munch interattivo, che rivela il suo valore estetico soprattutto dopo averlo esperito, non durante l’esperienza stessa che è sempre motore di ansia e sgomento riuscendo comunque a causare una dipendenza dovuta al rigore, alla sensibilità e all’intelligenza con cui è realizzato. L’orrore è l’orrore ci sussurra Silent Hill 2 con la folle saggezza di Kurtz.
Ogni combattimento contro le creature surreali e deformi, simboliche di abominazioni morali, non suscita alcun piacere anche nel momento in cui queste si eliminano con le ridotte risorse a disposizione; non c’è l’esaltazione della vittoria ma la stanca consapevolezza che qualche altro orrore si cela senza dubbio dietro l’angolo e che di questo orrore anche chi gioca (magari dopo avere schiacciato più volte con un tubo di ferro il cranio insensato di un’infermiera diabolica già riversa nel suo sangue nero neanche per tema che potesse rialzarsi ma solo per furia) è parte integrante e costituente.
Il nuovo viaggio di James alla ricerca della moglie defunta per gli urbani e lacustri scenari di Silent Hill, la compagnia di altri umiliati e offesi ma comunque dannati con la sola eccezione di una dispettosa bimba che qui è quasi un’intangibile e misconosciuta Beatrice, trascorre in uno squallore che è comunque sempre poetico nella sua negazione del bello ma non di un sublime che contempla anche ciò che è terribile. E non si tratta solo di visioni che provocano disagio, di architetture che perturbano, ma di un panorama sonoro sconvolgente composto da Akira Yamaoka, tanto che Silent Hill 2 è insieme un’esperienza sensoriale dell’occhio e dell’orecchio.
Silent Hill 2 risulta imperdibile per gli adulti, ma solo per questi, che non temono una deriva straziante nell’orrore più intimo e soggettivo perché, sebbene la realtà già troppo opprimente del presente abbia forse bisogno di videogame che siano anche balsamici, la gravità è necessaria come riflessione e reazione.
Contaminato da reminiscenze di Eraserhead di Lynch, da suggestioni kinghiane, da The Fog di Carpenter non solo per la nebbia ma per il racconto di micidiali colpe ancestrali, da Jacob’s Ladder di Lyne e malgrado il colore (sempre stinto anche nel vermiglio del sangue) dai bianchi e neri espressionisti di Murnau, Wiene e Lang, Silent Hill 2 mantiene comunque una sua unicità, la sua deprimente identità, mentre ci trasporta attraverso i dedali dei parchi solitari di un perenne inverno, di condominii marcescenti, di ospedali deturpati dalla follia, di carceri sepolte nell’ignominia e, oltre il lago, nell’ade di un paradiso turistico defunto.
Ogni spazio, congiunto alle vie rotte di una città trasfigurata in un inferno brumoso, compone un immaginario del dolore che è proprio solo di Silent Hill intesa come serie di videogiochi, oggi risorgente dopo la lunga latitanza nel limbo dell’abbandono e l’ingiustificabile chiusura del progetto di Hideo Kojima e Gullermo Del Toro ad essa dedicato.
Un videogame temibile, che si ama alla follia e con follia dopo essere usciti dalla sua feroce nebbia dell’anima.
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