Siglati due accordi, ma a Ghouta est è ancora guerra
Siria Nel sobborgo di Damasco anche Faylaq al-Rahman accetta l'evacuazione, ma raid governativi e missili delle opposizioni non cessano. A nord la Turchia occupa altri villaggi curdi mentre il Pkk si ritira da Sinjar per evitare l'invasione di Ankara
Siria Nel sobborgo di Damasco anche Faylaq al-Rahman accetta l'evacuazione, ma raid governativi e missili delle opposizioni non cessano. A nord la Turchia occupa altri villaggi curdi mentre il Pkk si ritira da Sinjar per evitare l'invasione di Ankara
L’attentatore di Trèbes, riportavano ieri i media, inneggiando all’Isis avrebbe detto di voler vendicare la Siria. Vista la dichiarazione di fedeltà al «califfato», forse si riferiva alla Siria occupata dallo Stato Islamico. Nelle stesse ore il paese dilaniato da una guerra globale viveva un’altra giornata di violenza.
A nord, dove la Turchia – secondo esercito della Nato – sta compiendo una campagna di devastazione della regione di Rojava arruolando tra le sue fila proprio miliziani di Daesh. L’obiettivo dichiarato, dopotutto, è distruggere quegli uomini e quelle donne che l’Isis lo hanno fermato, costringendolo a rinunciare al suo sogno di farsi Stato. Ed è giornata di violenze anche al centro, dove proseguono gli scontri nel sobborgo di Ghouta est.
Nel corridoio settentrionale le truppe turche e l’Esercito libero siriano stanno occupando altri villaggi del cantone curdo e progettano di spingersi sempre più a oriente. Tanto da convincere ieri il Pkk ad annunciare il ritiro da Sinjar, regione yazida nell’ovest iracheno e già individuata da Ankara come futuro target. Il Pkk, che nel 2014 ha salvato decine di migliaia di civili yazidi assediati dall’Isis sul monte Sinjar e che nel novembre 2015 l’ha liberata, fa un passo indietro per privare la Turchia di pretesti all’invasione.
Anche nella capitale risuonano le contraddizioni tipiche di una guerra brutale. Ieri gli scontri continuavano, con raid governativi e missili dei jihadisti, mentre un secondo gruppo di opposizione annunciava il raggiungimento di un accordo di evacuazione con il governo di Damasco.
Dopo i salafiti di Ahrar al-Sham (ieri i miliziani evacuati sono arrivati a Idlib), Faylaq al-Rahman – unità islamista del’Esercito libero – ha fatto sapere che lascerà Ghouta est. In particolare le aree meridionali del sobborgo sotto il suo controllo, Arbin, Jobar e Zamalka.
L’accordo si accompagna a un cessate il fuoco che sarebbe dovuto iniziare ieri a mezzanotte, fa sapere il portavoce della milizia, che aggiunge: la tregua «consentirà l’avvio di negoziati con la Russia». Secondo le stime, dovrebbero uscire 7mila persone, tra miliziani del gruppo e familiari.
Prosegue, dal checkpoint settentrionale di al-Wafedin, anche la fuga dei civili: ieri dalla città di Douma (la più grande dell’enclave, tuttora controllata dai salafiti di Jaysh al-Islam) sono arrivate a piedi 3.400 persone; in tutto sarebbero 50mila i civili che hanno lasciato Ghouta est e accolti in questi giorni nei rifugi della Mezzaluna rossa, della Croce Rossa e delle Nazioni unite.
Ma intorno la guerra non si placa. Ieri quattro membri della Mezzaluna sono stati feriti dall’esplosione di un ordigno dei miliziani di opposizione, mentre saliva a 33 il numero delle vittime del lancio di missili su Damasco di giovedì. Le opposizioni hanno invece denunciato la morte di 37 persone in un attacco aereo russo contro Arbin: si tratterebbe, dice l’Osservatorio Siriano per i diritti umani, ong parte del fronte anti-Assad, per lo più di donne e bambini.
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