Lavoro

SiCobas in piazza contro la repressione

SiCobas in piazza contro la repressioneUna protesta del Si Cobas dell'Italpizza a Modena

A Modena 481 procedimenti penali in pochi anni per i picchetti Partecipa anche Lanfranco Turci

Pubblicato circa 4 anni faEdizione del 3 ottobre 2020

Il numero è impressionante: 481 procedimenti penali. Tutti nella piccola Modena, tutti contro esponenti del Si Cobas in soli quattro anni. Il sindacato in città ha condotto battaglie dure, ottenendo vittorie importanti come all’Italpizza, l’azienda leader nelle pizze surgelate che sfruttava i lavoratori di cooperative spurie. Ma i casi riguardano moltissime altre aziende non solo del settore alimentare (c’è anche Zara) e – soprattutto – riguardano sempre e soltanto le modalità di sciopero con picchetti davanti alle aziende. Insomma, è la questura di Modena ad aver messo nel mirino il Si Cobas.

Per questo oggi pomeriggio alle 14,30 il sindacato ha organizzato una grande manifestazione nazionale: concentramento in piazza Sant’Agostino e comizio in piazza Grande, nel cuore di Modena.

«Arriverà tanta, tanta gente, abbiamo migliaia di adesioni da tutta Italia – racconta Marcello Pini del Si Cobas Modena – . In questo momento il tema della repressione è molto sentito». E ha coinvolto realtà sociali modenesi come il comitato Mo Basta Cemento e la lista Modena Volta Pagina, di cui uno dei fondatori è Lanfranco Turci (che oggi sarà in piazza), l’ex presidente della Regione e di Legacoop, da anni critico con la deriva delle cooperative spurie.

Il clima in città ieri era teso. La conferenza stampa di presentazione della manifestazione si è tenuto davanti alla Questura, non senza momenti di tensione. «Una giornalista è stata spintonata dagli agenti e la Digos ha telefonato alla Banda Popolare che doveva tenere il concerto in piazza per noi dicendo che non è autorizzato», spiega Pini.
In più il sindaco Pd Carlo Muzzarelli ha lanciato l’allarme per il rischio incidenti. «Ma ha citato il precedente delle scritte sui muri lasciate il 25 aprile dagli anarchici, non da noi che non abbiamo mai creato problemi», sottolinea Pini.

Oltre ai 481 procedimenti penali ci sono poi anche 12 fogli di via (divieto ai sindacalisti di essere in città) e il blocco delle pratiche di cittadinanza per diverse decine di operai migranti (buona parte dei 1.200 iscritti al Si Cobas a Modena è migrante).

I reati contestati sono sempre gli stessi: «violenza privata» (picchetto), «manifestazione non autorizzata», «resistenza a pubblico ufficiale», «oltraggio».

Ovviamente le persone fisiche coinvolte sono meno di 481: molti attivisti appaiono in più procedimenti.
«Mentre avvenivano tutte queste denunce, nessuna persona è stata indagata per associazione mafiosa a Modena negli ultimi 4 anni, mentre nella vicina Reggio Emilia si è svolto il mega-processo Aemilia sulla ’ndrangheta nel sistema degli appalti e nelle istituzioni, con tanto di Comuni sciolti e aziende sequestrate», denuncia il Si Cobas. «Esiste un muro di gomma da parte della stampa e delle istituzioni per quanto riguarda questa situazione che, a nostro parere, non ha paragoni in Italia, con l’eccezione della Valsusa. Esiste un problema di tenuta democratica che va ben oltre Salvini e compagnia».

«Il sindacato è sotto processo. Fallita la montatura giudiziaria contro Aldo Milani (lo storico fondatore del Si Cobas, assolto dall’accusa di essersi intascato mazzette dalle aziende per allentare i picchetti, ndr), adesso Questura e Procura mettono alla sbarra l’intero sindacato», attacca il Si Cobas. «L’assoluzione di Aldo Milani ci dice che il tribunale ha già dimostrato di essere imparziale», sottolinea speranzoso per i processi Pini.

Quanto a Italpizza, «le due finte cooperative sono state sostituite da una Spa – racconta Pini – ci sono stati leggerissimi aumenti di 50-60 euro al mese ma il rischio è che la robotizzazione porti a 300 esuberi su 900 già a marzo. E i primi che saranno lasciati a casa saranno gli imputati nel processo: 76 lavoratori di Italpizza su 120 imputati. Al 2022, quando si dovrebbe finalmente applicare il contratto alimentare, di lavoratori ne rimarranno pochi», conclude Pini.

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