Politica

Sicilia, fine del regno di Davide Faraone

Sicilia, fine del regno di Davide FaraoneDavide Faraone – LaPresse

L’addio al Pd La parabola della truppa "renziana" regionale, sparita dopo 7 anni senza lasciar traccia

Pubblicato circa 5 anni faEdizione del 18 settembre 2019

Con l’addio al Pd finisce il “regno” di Davide Faraone in Sicilia. Fedelissimo della prima ora fin dai tempi dei “rottamatori”, Faraone lascia i dem per seguire il progetto del capo. E lo fa in solitario, con un partito commissariato e claudicante. Perché della truppa dei “renziani” di Sicilia, che ha guidato per sette lunghi anni, sembra non esserci più traccia. Tutti spariti. Quella macchina da guerra, che aveva spaccato il partito, sembra evaporata nel nulla. Di quel fronte allargato aperto a ex Dc e pezzi di Fi e An durante la Leopolda siciliana mentre Renzi navigava a gonfie vele pare non essere rimasto nulla. E chi s’era schierato con Renzi, prima e dopo il referendum flop, rimane al momento ben saldo dentro a un Pd che nell’isola continua a leccarsi le ferite della doppia batosta elettorale rimediata alle politiche e alle regionali.

Al livello di classe dirigente, in questo momento, nessuno si sbilancia. Faraone sembra un uomo solo. Toccherà a lui rinsaldare le fila. Due dei suoi più stretti sodali, la senatrice Valeria Sudano e il deputato regionale Luca Sammartino, tergiversano. Entrambi legati a Guerini, che rimane nel Pd, potrebbero avventurarsi nel nuovo progetto, forti del consenso che godono nell’area di Catania, il loro bacino elettorale. Un altro fedelissimo, il parlamentare Carmelo Miceli, che ha guidato il partito a Palermo, invece scende dal carro. Rimarrà nel Pd. Dove rimangono anche altri “renziani” dal passato doc, come i deputati regionali Baldo Gucciardi, trapanese, e Nello Dipasquale, ragusano.

Su 10 parlamentari del gruppo dem all’Ars, solo uno, Luca Sammartino – c’è il suo like nel post di Renzi – potrebbe cambiare casa. Si vedrà. Rimane nel partito l’orfiniano Fausto Raciti. Mentre potrebbe rientrare tra i renziani la deputata Daniela Cardinale, figlia dell’ex ministro, che s’era dimessa dal gruppo alla Camera dopo la scelta del padre di abbandonare il centrosinistra per cercare altre strade. Silenzio da Pietro Navarra, eletto con i “rernziani”, e ora vicino a Franceschini.

L’addio di Faraone pone fine a sette anni di tormenti dentro il Pd. Fu lui, all’epoca sottosegretario, a tenere il partito sotto scacco nell’isola nel pieno della stagione di Renzi premier. Nonostante il Pd fosse guidato da Raciti, Faraone, con la sponda del capo, fu tra i maggiori oppositori del governo Crocetta con i “renziani” fuori dalla giunta e in posizione critica. Anche quando Crocetta cedette ai partiti, Faraone, pur piazzando suoi assessori, continuò nella sua azione ostile nei confronti di Crocetta azzoppando di fatto qualsiasi iniziativa. Una guerra intestina che ha logorato il governo ma soprattutto il Pd, frantumato in sottocorrenti con dirigenti uno giorno anti renziani e l’altro no. Con la fine dell’era Crocetta, Faraone sembrava ormai il padrone del vapore, convinto di poter governare finalmente il partito, facendo piazza pulita dei dissidenti interni soprattutto gli ex diessini o quelli comunque più a sinistra e sempre critici nei suoi confronti. Sfumata la sua candidatura a governatore nonostante fosse già in campagna elettorale quando Crocetta era ancora in sella, fu Faraone, spinto da Renzi, a portare a termine il piano per la candidatura di Fabrizio Micari. Un flop.

L’apice si toccò alla fine dell’anno scorso col pasticcio del congresso. Uno scontro feroce giocato all’ultimo sangue tra le correnti: alla fine, con la sponda della segreteria Renzi, Faraone riuscì a farsi proclamare segretario del Pd in Sicilia, senza primarie e senza congressi di circolo. Era dicembre. Con l’assemblea dei dem tutta “renziana” e i zingarettiani sull’Aventino in attesa di capire l’esito del ricorso fatto ai Garanti del Nazareno, Faraone stava gestendo il partito in un clima surreale. Il colpo di scena arriva sette mesi dopo. Luglio. Renzi non c’è più. Ora comanda Zingaretti. E i Garanti accolgono, a maggioranza, il ricorso contro Faraone. Elezione dunque annullata. Faraone minaccia ferro e fuoco. Intanto deve lasciare il quartier generale di via Bentivegna. Per protesta si auto-sospende dal Pd. I suoi annunciano controricorsi, invocando persino le aule di tribunale. Ora l’addio ai dem. Per Faraone si apre una nuova fase. E il Pd, governato da un commissario inviato da Zingaretti, proverà a rimettere a posto i cocci.

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento