Editoriale

Siamo tutti palestinesi. O siamo tutti responsabili?

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Fermare il massacro Non solo non si è mai pensato a sanzioni, ma si continua a vendere armi e tecnologia a un governo che sta “sterminando” un popolo. L’Italia tace, ma candida Federica Mogherini a guidare la politica estera europea

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 3 agosto 2014

L’articolo di Luciana Castellina (il manifesto, 30/7/2014) ci ha interpellati tutti, soprattutto noi che abbiamo fatto della solidarietà con il popolo palestinese, soprattutto con Time for peace (1990), il tassello più importante della nostra militanza pacifista. La nostra impotenza di fronte a quello che succede a Gaza è lacerante. Anch’io non voglio parlare di cosa succede, e come potrei? Io sono a Roma mentre loro – bambini, donne e uomini – muoiono sotto le bombe israeliane.

Noi diciamo che «siamo tutti palestinesi», ma la realtà è ben diversa. Sono stati mai contati i morti palestinesi dal ’48 in poi? Sappiamo esattamente il numero dei profughi? Abbiamo i dati sulle distruzioni provocate da Israele? Sappiamo che a Gaza non c’è più acqua, elettricità, medicine… Non c’è più la possibilità di vivere. La punizione collettiva contro un popolo è una violazione delle convenzioni internazionali, ma quante risoluzioni ha violato Israele eppure, a differenza di quanto avviene rispetto all’Ucraina, nessuno ha mai pensato di imporre sanzioni a Israele. Non solo non si è mai pensato a sanzioni ma si continua a esportare armi, tecnologia e ad aiutare un governo che sta “sterminando” un popolo. So di usare un termine pesante, ma che cos’è l’attacco alla popolazione di Gaza rinchiusa in una striscia di terra sovrappopolata senza via d’uscita? C’è forse un altro termine per indicare questa eliminazione fisica di un popolo?

L’Europa tace, l’Italia anche, ma candida Federica Mogherini a guidare la politica estera europea. Sappiamo che l’Europa non ha brillato per la politica estera, anzi, ma è lecito chiedere alla candidata a tale incarico che cosa intende fare.

C’è un altro passaggio dell’articolo di Luciana Castellina che mi ha fatto riflettere, per la verità è da tempo che su questo punto mi interrogo. Non ho travisato le sue parole, non avevo dubbi, Luciana non può condividere le scelte di Hamas. Quello che mi sono chiesta è se, come lei dice, essendo vissuta nei campi profughi si diventa o si può diventare terroristi. Fino a qualche tempo fa avrei condiviso la sua conclusione, è possibile. Oggi non lo credo più. Perché il terrorismo islamico ha fatto del martirio la propria fede, è la carta che convince molti giovani ad immolarsi non in nome della Palestina libera ma di dio, di allah. Il fanatismo religioso induce molti giovani a sacrificarsi in azioni senza speranza: a prevalere è la cultura della morte non quella della vita che ha ispirato decenni di lotta dei militanti palestinesi. Tanto è vero che la maggior parte dei kamikaze non arriva dai campi profughi, non sono indotti al sacrificio dalla disperazione ma dalla loro ideologia.

Non credo che nell’epoca in cui viviamo i conflitti si possano risolvere militarmente, eppure il terrorismo è l’unica arma che può sfidare anche l’esercito più potente, quello israeliano o quello americano. Paradossalmente Israele che ha sostenuto la nascita di Hamas e gli Usa che hanno finanziato e addestrato bin Laden sono diventati ostaggio dei mostri che hanno creato.

La partita che si sta giocando in Medioriente ormai coinvolge tutti i paesi arabi, non pro o contro i palestinesi che sono sempre stati solo una carta da giocare in campo internazionale, ma per difendere i propri interessi e le proprie strategie. Altrimenti come si potrebbe spiegare la chiusura del passaggio di Rafah da parte del presidente al Sisi? A che cosa porterà questa logica che ignora i diritti dei palestinesi?

La comunità internazionale, i governi cosiddetti democratici, i partiti di sinistra, i pacifisti tutti sono responsabili di quanto sta avvenendo. Se ora chiudiamo gli occhi di fronte ai massacri di Israele, ancora per i sensi di colpa rispetto all’Olocausto, la spirale della violenza non si fermerà mai. Sarà un vortice che continuerà a travolgerci.

Che fare? Si deve mandare una forza di interposizione, se Israele non vuole si può schierare in territorio – quel poco che è rimasto – palestinese. Come è stato fatto in Libano. Se la comunità internazionale si assume le sue responsabilità è possibile. La cosa migliore sarebbe una interposizione da parte dei corpi civili di pace, ma siccome non sono ancora stati formati – speriamo lo siano presto – va bene anche un corpo di polizia internazionale, purché si metta fine a questo massacro.

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