Lavoro

Si torna al lavoro sempre più precari e senza tutele

Si torna al lavoro sempre più precari e senza tutele

Lo chiamavano "Recovery" I dati Istat su crescita e occupazione possono creare illusioni ottiche. All'uscita della pandemia emerge una costante del mercato del lavoro dopo il Jobs Act: i dipendenti che hanno perso il lavoro nell'ultimo anno (-222 mila nonostante il blocco dei licenziamenti) sono sostituiti dai precari (-229 mila). Quando la crescita aumenterà di velocità inizierà a macinare precariato. Servono interventi strutturali ispirati al garantismo sociale e sul lavoro per fermare questo carosello. Ma di questo nel "Piano di ripresa e resilienza" non c'è traccia e nella maggioranza Frankenstein di Draghi non c'è nemmeno un Letta che si sbilancia. La lotta contro il precariato non vale nemmeno un posizionamento elettorale

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 2 giugno 2021

Gioire per uno zero virgola nelle statistiche economiche è una caratteristica di tutti i governi. Quello attuale, non diversamente dai precedenti, ieri ha sussultato perché l’Istat ha corretto il prodotto interno lordo (Pil) del primo trimestre 2021 a +0,1% per effetto del calcolo dei giorni lavorati, al netto delle fluttuazioni di carattere stagionale. Una stima del 30 aprile scorso lo dava a meno 0,4%. Complessivamente il recupero del Pil, dopo il capitombolo dell’anno scorso (-8,9%), è al +2,6%. A fine anno potrebbe superare il +4%.

Al di là di questi giochi statistici ciò che è più interessante è capire che tipo di occupazione porterà una crescita non strutturale, da interpretare come un rimbalzo fisiologico dopo l’abisso provocato dalle quarantene a fisarmonica per contenere il Covid 19. Lo capiamo da un altro report intitolato «Occupati e disoccupati» pubblicato ieri dall’Istat. Andiamo a pagina 4 dove sono riportati i dati annuali da aprile 2020 a aprile 2021. La dinamica è chiara: il crollo del Pil ha provocato il crollo del lavoro dipendente (nonostante il blocco dei licenziamenti, i sindacati chiedono la proroga) di 222 mila unità e quello dei precari e delle partite Iva pari a 184 mila unità. Allo stesso tempo, negli ultimi dodici mesi, sono stati assunti 229 mila dipendenti a termine. Siamo davanti al cosiddetto «effetto sostituzione»: i lavoratori dipendenti sono sostituiti da quelli precari. Senza contare che questi ultimi, in maggioranza donne e giovani, sono i più colpiti dalla crisi. La disoccupazione giovanile è al 33,7%: un record. Queste persone hanno perso il lavoro nel primo lockdown. E lo riperderanno ancora. Così faranno gli ex dipendenti. A questo esito potrebbe avere collaborato la sospensione in atto del decreto dignità, bandierina usata dai Cinque Stelle per dimostrare di avere fatto qualcosa contro la precarietà.

La conferma dell’effetto sostituzione in atto viene dall’aumento dell’occupazione ad aprile 2021 registrato ieri dall’Istat: +20 mila unità, soprattutto donne, dipendenti a termine e under 35. Diminuiscono gli uomini, i dipendenti permanenti, le partite Iva e gli ultra 35enni. Da gennaio 2021 la crescita dell’occupazione è stata di 120 mila unità. Dato modesto se paragonato al totale della perdita dal marzo scorso: oltre 800 mila posti di lavoro in meno. Il blocco per la pandemia ha creato questa situazione: gli inattivi, cioè coloro che non cercano lavoro perché non c’è, sono un esercito: +870 mila. Sono diminuiti (ad aprile 2020 erano 932 mila) perché hanno ricominciato a cercare lavoro anche se non lo hanno trovato. Tecnicamente li definiscono «disoccupati». Per questa ragione la disoccupazione è aumentata al 10,7%. Ma non sarà facile rientrare nel perimetro del precariato con un lavoro a termine. Da questo perimetro però sarà più facile uscire alla scadenza dei contratti.

Il «libero mercato» del lavoro in Italia è un carosello. Quando ricomincerà a macinare precariato si parlerà di una crescita occupazionale. Sarà precaria, sottopagata, senza tutele, né diritti, ma incentivata con i soldi alle imprese. Ma tutti vedranno l’illusione numerica, non l’esperienza concreta della forza lavoro. Questi sono i risultati del Jobs Act, ultima stazione creata dal Pd di Renzi nel 2015 dopo una lunga precarizzazione. Nella maggioranza Frankenstein del governo Draghi nessuno intende cambiare la situazione. L’attuale segretario del Pd Enrico Letta non se ne occupa. Il garantismo sociale sul lavoro, e nel non lavoro con un reddito di base, non vale un posizionamento elettorale. Una riforma a tutela dei lavoratori non rientra nel «Piano di ripresa e resilienza» di Draghi. Fu richiesta dieci anni fa, il 29 settembre 2011, ma era di segno opposto. «Sostenere l’efficienza del mercato del lavoro» si leggeva nella lettera allo sciagurato governo Berlusconi scritta (con Trichet) da Draghi quando stava iniziando la prima stagione alla Bce. Da allora nessuno ha visto la stella cometa dell’«efficienza» attraversare i cieli del mercato. Pazienza, non è il tempo dei miracoli. Il problema è che non c’è l’ombra di una giustizia nella società.

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