«Si può fare», 101 (buone) azioni per la giustizia climatica
La specie homo sapiens ha stupito continuamente lungo la sua breve storia. Forse riuscirà perfino a trasformare in leva di Archimede la spada di Damocle dei cambiamenti climatici – sfida […]
La specie homo sapiens ha stupito continuamente lungo la sua breve storia. Forse riuscirà perfino a trasformare in leva di Archimede la spada di Damocle dei cambiamenti climatici – sfida […]
La specie homo sapiens ha stupito continuamente lungo la sua breve storia. Forse riuscirà perfino a trasformare in leva di Archimede la spada di Damocle dei cambiamenti climatici – sfida onnicomprensiva nel presente e nel futuro.
Alla combustione di carbone, petrolio e gas, causa principale delle emissioni di gas climalteranti insieme alla distruzione degli ecosistemi in un viziosissimo circolo, «esistono alternative, è forte la percezione che sia arrivata al capolinea la logica estrattivista su cui si regge l’attuale modello di sviluppo», spiega il saggio Il clima è (già) cambiato. Nove buone notizie sul cambiamento climatico, scritto da Stefano Caserini, titolare del corso di Mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano e fondatore del sito climalteranti.it.
IL TESTO, AGGIORNATO, spazia dalla conoscenza del fenomeno alle alternative politiche, normative, tecnologiche, culturali. Le buone notizie, le declinazioni del «si può fare» e «già in parte si fa» sono un appello all’impegno di tutti e a tutti i livelli, dalla politica internazionale alle scelte personali (una succinta appendice compendia ben 101 azioni). La giustizia climatica esige, anche da parte dei movimenti che si stanno finalmente manifestando, la sfida alle strutture di potere dominanti e ai privilegi acquisiti, a un «sistema strutturalmente iniquo, drogato soprattutto dallo sfruttamento delle risorse e dalla finanza deregolamentata».
NEL CAPITOLO SULLE conoscenze, l’autore spiega che da un lato è altamente improbabile lo scenario «sindrome di Venere» ipotizzato dal climatologo James Hansen (insomma una Terra rovente, morta), dall’altro i cambiamenti climatici stanno già avendo, e avranno anche nel migliore degli scenari, rilevanti impatti sugli ecosistemi e sulle attività umane, soprattutto per i poveri.
OCCORRE ROTTAMARE il sistema fossile, perché per avere il 66% di possibilità di contenere a 1,5 gradi l’aumento ulteriore della temperatura terrestre rispetto all’era preindustriale, la nostra generazione e le successive dispongono di uno «spazio di carbonio» risicato; non potranno spedire in atmosfera più di 600 miliardi di tonnellate totali di anidride carbonica… ma oggi se ne producono 42 miliardi all’anno!
Per fortuna, come ci viene descritto nel capitolo sulle vittorie, le lobby del fossile pesano meno: adesso è tutto più chiaro, «sappiamo quanto sta accadendo, i negazionisti hanno perso, cambiare è possibile, ci sono tanti segnali positivi, abbiamo alternative». E «ci sarebbero tanti co-benefici»: salute, benessere e fine delle guerre e delle distruzioni figlie della rapina estrattivista. E, illustra il capitolo sulle possibilità, già si vedono i segni della transizione post-fossile; costosa certo, ma lo sono anche i sussidi alle fonti fossili (via, abolirli) e l’import di combustibili, un salasso per tanti paesi. Poi «solare ed eolico continueranno a stupirci» con la loro sempre maggiore efficienza. Uscire dallo spreco di un sistema energetico colabrodo e consumistico offrirà anche molte opportunità occupazionali, in una just transition. Le «azioni a tutti i livelli», parzialmente già in corso, saranno aiutate dalla tassa sul carbonio, incentivo ai disinvestimenti necessari.
OCCORRERÀ ANCHE limitare i danni inevitabili: sarà una «scelta di civiltà» aiutare i paesi e popoli più vulnerabili – che meno hanno contribuito al problema. Del resto i poveri «non rinunceranno a usare più energia in futuro, e se quella più conveniente per loro fosse la fossile, le emissioni non potranno che aumentare».
L’AUTORE ILLUSTRA IL RUOLO essenziale ma non onnipotente (attenti alle scappatoie) delle foreste e delle biomasse come sistemi naturali di assorbimento della CO2, e la questione «inabissata» dell’acidificazione degli oceani. Un intero capitolo percorre la storia dei negoziati sul clima, fino all’accordo di Parigi del 2015. Un crescendo di impegni, anche se insufficienti perché quasi tutti i politici si misurano nel breve lasso fra un’elezione e l’altra.
Ma «le lobby del fossile hanno i decenni contati», e con «immaginazione, creatività, spirito cooperativo, capacità di apprendere» si potrebbe costruire «un futuro molto diverso dal presente (…), una vita più dignitosa e appagante».
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