Si Fest, tra flussi di coscienza e associazioni di idee
Per questo fine settimana e il prossimo sarà possibile visitare (emergenza climatica in Emilia Romagna permettendo) il festival di fotografia che propone un «atlante visivo» per interpretare la contemporaneità
Per questo fine settimana e il prossimo sarà possibile visitare (emergenza climatica in Emilia Romagna permettendo) il festival di fotografia che propone un «atlante visivo» per interpretare la contemporaneità
Educare al linguaggio fotografico è la mission di Alex Majoli (fotoreporter della Magnum e fondatore del collettivo Cesura) che alla sua III direzione artistica del Si Fest – Savignano Immagini Festival, organizzato da Savignano Immagini con il Comune di Savignano sul Rubicone (visitabile questo week end e il prossimo, emergenza climatica in Emilia Romagna permettendo) propone per la 33/a edizione un «atlante» visivo (il titolo è Atlas) che attraversa la contemporaneità.
La formula mira, ancora una volta, a coinvolgere in primis studenti e studentesse, trasformando la Scuola primaria D. Alighieri e l’Istituto Comprensivo G. Cesare in incubatori visuali per ospitare, insieme al Consorzio di Bonifica, Monte di Pietà e Vecchia Pescheria 13 mostre di autori internazionali tra cui Stacy Kranitz, Maurizio Montagna, Roland Schneider, Silvia Camporesi e Andy Rocchelli, il fotoreporter ucciso dall’esercito ucraino con il collega Andrej Mironov mentre documentava il conflitto del Donbass, morti tuttora impunite. Letture portfolio, presentazione di libri e talk, oltre che l’esposizione di progetti speciali tra cui (BO)yz N The Hood di Tommaso Palmieri (Premio Portfolio Werther Colonna 2023) e Arjen di Ariya Karatas (Premio Marco Pesaresi 2023) confermano le caratteristiche di questo festival storico.
AMBIZIOSO ma affascinante il riferimento a Aby Warburg per l’interdisciplinarità e il modo non diacronico dello storico dell’arte tedesco di interagire con l’iconografia storico-artistica. Della sua monumentale opera incompiuta Bilderatlas Mnemosyne (1928-1929) con migliaia di foto, cartoline, diagrammi, appunti, ritagli di giornale, etc. fissate su pannelli di legno mutabili rivestiti di tela nera, viene proposta una selezione di 12 tavole.
Dalla «storia» con Russian Interiors di Rocchelli (World Press Photo Award 2015) e For So Many Years When I Close My Eyes di Billy H.C. Kwok – l’artista di base a Hong Kong, nel seguire le ricerche di un ragazzo autistico scomparso in un’affollata stazione ferroviaria della metropoli asiatica, mette in luce aspetti critici della società dell’ex colonia britannica– si passa alla «psicologia» con Zwischenzeit di Schneider, alla «letteratura» con The Year After a Denied Abortion di Kranitz, alla «geografia» con Toros: The marking of a territory di Montagna e alla «tecnica» con Broomberg & Chanarin che in Chicago documentano la città artificiale costruita dal governo israeliano nel deserto del Negev per addestrare le milizie al combattimento urbano. Before Freedom dell’artista palestinese-americano Adam Rouhana è, invece, una metafora della «resiliente normalità».
COME nell’atlante warburghiano, anche il Si Fest stimola associazioni di idee in un fluire di consapevolezza, favorendo una conoscenza emotiva. Dal personale all’universale: tra le storie familiari incentrate sul disagio prendono forma sia l’iconico Ray’s a Laugh (il libro è del 1996) di Richard Billingham con le sue dinamiche «tossiche» con un padre alcolista e una madre ossessivo-compulsiva, che Rotting from Within di Abdulhamid Kircher in cui viene decodificato un rapporto altrettanto traumatico tra l’autore e il padre, detenuto per droga e con un tentato omicidio alle spalle.
Dal Regno Unito a Berlino e alla Turchia, il viaggio prosegue in Sudafrica con I carry Her photo with Me di Lindokuhle Sobekwa, i cui mentori sono Ernest Cole e Santu Mofokeng, sulle tracce della sorella Ziyanda rimossa per 15 anni dalla storia di famiglia. Ad un passato sempre molto attuale si riferisce Conversations with the Dead (1967-68) di Danny Lyon realizzato con i detenuti di sei prigioni del Texas: uscito nel ’71 il libro è un cult concepito dall’autore di The Bikeriders come diario che ingloba fotografie, disegni, lettere e appunti scritti a mano. Lyon documenta le violenze fisiche e psicologiche dei prigionieri con la stessa implicazione con cui, in quegli stessi anni, partecipava alle manifestazioni per i diritti civili dei cittadini afroamericani: anni di ribellione che egli racconta nel memoir This is My Life I’m Talking About (Damiani Books 2024).
UNA VIOLENZA SILENTE attraversa, infine, le foto dell’archivio di San Servolo, oggetto della ricerca di Francesco Lughezzani. All’opposto dell’escamotage adottato nelle fotografie vittoriane delle «madri nascoste», dove mamme e tate impegnate a tener fermi i pargoli durante le lunghe pose nello studio fotografico «scomparivano» dall’inquadratura sotto inquietanti teli scuri, nelle foto di San Servolo, a Venezia, sede del manicomio dal XVIII secolo fino all’avvento della Legge Basaglia, le mani di infermieri e dottori sono presenze quanto mai visibili.
Ingrandite rispetto all’originale formato carte-de-visite, sono immagini che documentano l’uso «scientifico» della fotografia nella comparazione del prima e del dopo, della malattia psichica del paziente e della sua eventuale guarigione. Mani che dovrebbero proteggere e rassicurare ma che incombono minacciosamente sulla testa e sul volto di bambine e bambini, uomini e donne.
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