Sì della camera al decreto. Tempi stretti per il senato
Alla fine ci sono riusciti e il decreto femminicidio è passato alla camera ieri con 343 voti favorevoli per approdare adesso al senato con tempi strettissimi per l’approvazione entro il […]
Alla fine ci sono riusciti e il decreto femminicidio è passato alla camera ieri con 343 voti favorevoli per approdare adesso al senato con tempi strettissimi per l’approvazione entro il […]
Alla fine ci sono riusciti e il decreto femminicidio è passato alla camera ieri con 343 voti favorevoli per approdare adesso al senato con tempi strettissimi per l’approvazione entro il 14 ottobre. Un testo arrivato alla camera già modificato, grazie all’apertura della viceministra del lavoro e con delega alle pari opportunità, Cecilia Guerra, e grazie al lavoro che le parlamentari hanno svolto direttamente in commissione giustizia, modifiche però che ancora non convincono del tutto. Rimangono sul piatto nodi come quello della definizione di violenza domestica come “atti non episodici” o la revocabilità della querela su cui, con un emendamento non approvato per 20 voti, rimane il compromesso raggiunto in commissione giustizia: la remissione della querela può essere soltanto «processuale» e quindi «la querela è irrevocabile se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate nei modi art 612». Sulla decisione c’è stato scontro ed è passato un ordine del giorno presentato da Pia Locatelli (Gruppo misto) che ha chiesto un monitoraggio per verificare se effettivamente la norma sia d’aiuto alle donne. «Se c’è un calo delle denunce – dice Locatelli – significa che l’irrevocabilità non va bene. Mentre per il decreto in generale – continua – devo dire che abbiamo lavorato molto e insieme a Michela Marzano del Pd ci siamo battute affinché fosse migliorato, ottenendo per esempio la modifica dell’articolo 5 con un finanziamento del piano antiviolenza parlando anche di scuola e formazione».
Sel e 5 Stelle hanno invece deciso di non partecipare al voto, malgrado tutto il lavoro svolto anche da loro in commissione giustizia e in aula con gli emendamenti presentati, per coerenza rispetto all’intero impianto normativo. Per Titti Di Salvo (Sel) il governo ha una grande responsabilità perché «ha interrotto l’unità di fondo che c’era in parlamento con la ratifica di Istanbul, fatta anche grazie alla presidente Boldrini, con un errore di valutazione serio su un dibattito che si era avviato sulla violenza contro le donne, e che stava anche coinvolgendo le associazioni. Il governo ci ha rovesciato addosso un decreto in cui c’era di tutto e di più, ponendo la scelta prevalente lì dove non era possibile». Un pacchetto sicurezza in cui, oltre a norme di contrasto alla violenza sulle donne, si è votato l’esercito in Val di Susa, la militarizzazione del territorio delle grandi opere, il commissariamento delle province, norme sui furti di rame e sui vigili del fuoco. E si è aggiunto l’odg sul risarcimento da parte dello stato «dei danni subiti dalle aziende impegnate nella realizzazione della Tav, colpite da atti vandalici e terroristici». Per non parlare dei soldi che l’articolo 5 stanzia ai centri antiviolenza: «Cosa ci fai con 37 milioni in tre anni da spartire sul territoio nazionale e che forse, si mormora, neanche ci sono?», dice Mara Mucci di 5S. «La delusione – continua Mucci – è grande ma questo dimostra che per fare le leggi c’è bisogno di un vero confronto con la società civile. Noi ci siamo rifiutati di approvare un decreto così, non perché non ci interessa la violenza sulle donne, anzi, ma perché questo è un provvedimento eterogeneo in cui è stato fatto entrare tutto dentro, è come se dietro il femminicidio si fosse nascosto dell’altro».
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