Si chiama persecuzione, non martirio
«SANTA SUBITO» Un docu-film di Alessandro Piva dedicato a una ragazza vittima di femminicidio nel 1991. Numerose eppure inutili le denunce. L’ha accoltellata a morte e, dopo 10 anni, è ora libero
«SANTA SUBITO» Un docu-film di Alessandro Piva dedicato a una ragazza vittima di femminicidio nel 1991. Numerose eppure inutili le denunce. L’ha accoltellata a morte e, dopo 10 anni, è ora libero
«Dio ti ama», è la scritta incisa nella piccola croce di legno appesa allo specchietto di una macchina. Al volante Piero Scorese che sta raggiungendo Angela Dachille al cimitero. Sono trascorsi 28 anni dall’uccisione della loro figlia ventitreenne per mano di un uomo che la perseguitava. Quel piccolo loculo è pieno di fiori per lei, Santa, a cui è dedicato il film di Alessandro Piva dal titolo Santa subito, passato alla Festa del Cinema di Roma.
IL CONTESTO materiale della vita di questa giovane donna barese è descritto piuttosto nel dettaglio, privilegiando l’elemento religioso che aveva contraddistinto la metà della sua esistenza. È così nelle parole di Carmencita Picaro, missionaria, che la ragazza incrocia all’età di 15 anni e che diventa presto sua guida spirituale all’interno della «milizia dell’Immacolata». Nello stesso solco, non desteranno dunque stupore le testimonianze dei vari preti, insegnanti-catechisti e confessori che animano la pellicola e che descrivono Santa Scorese come una creatura vissuta per il «discernimento vocazionale» e per un desiderio incrollabile di coltivare relazioni autentiche. Piva, anche servendosi di documenti privati come il diario di Santa, trovato dopo la sua morte dalla sorella Rosa Maria, tratteggia una ragazza perlopiù indomita, che aveva dei sogni e degli affetti, per esempio quello per la sua amica Virginia a cui, in una lettera, domanda: «Sei riuscita a calarti nella realtà di ogni giorno con la tua voglia di rivoluzionarla? Non avere paura di andare controcorrente e di sentirti piccola nei confronti degli altri, perché ricorda che sei grande agli occhi di Dio».
È quest’ultimo interlocutore su cui Santa proietta le sue speranze più grandi, lo indica con fervore perché ha bisogno di trovare punto assoluto e teleologico alla incandescenza adolescenziale. Si affida a questo ascoltatore muto anche quando, nel 1988, un uomo comincia a stalkerizzarla per poi, il 15 marzo del 1991, ucciderla nel cortile di casa sua in seguito a numerose coltellate. In nessun passaggio viene usata la parola femminicidio eppure è di questo che Santa Scorese è morta. Il fatto che attribuisse a una fede religiosa il suo spazio di libertà non significa che al centro della vicenda non ci fosse, come in tutti i casi di femminicidio, l’intenzionale volontà maschile di porre fine alla vita di una donna che aveva rifiutato le sue avances. Una scelta che Alessandro Piva supplisce con un breve cammeo in cui Maria Pia Vigilante (della onlus «Giraffa») ricorda come la legge contro lo stalking sia intervenuta solo nel 2009.
QUANDO quella sera stava tornando a casa, prima di essere raggiunta dai fendenti, erano già molte le denunce fatte nei confronti del suo aggressore. In quelle poche ore, mentre la portavano al pronto soccorso, è riuscita a dire «Sono troppo giovane per morire». Erano troppo giovani tutte quelle che sono state soppresse a causa dell’odio maschile. E nessuna di loro è stata «martire» seppure di martirio si parli in più di un punto del film e, in alcuni articoli dell’epoca, si leggano similitudini con Maria Goretti. Non c’è nessuna autorizzazione all’ineluttabile, nessuna resa a una forza superiore se a farne le spese è il corpo di una donna, neppure quando a sostenere vi è la fede. Quindi, che di Santa Scorese si stia aspettando la beatificazione tanto per chiamare in un altro modo il tormento, tutto terreno e laico, di una donna a cui un uomo ha voluto togliere la vita, vorremmo dire basta, anche no grazie. Può essere una legittima consolazione per i famigliari a cui si perdona tutto perché si sopravvive come si può a una perdita così grande, dopo aver visto la propria cara riversa a terra in una pozza di sangue. Ma alla restituzione pubblica di immaginario che questa storia dovrebbe fornire non si devono fare sconti. E in effetti anche Alessandro Piva non li fa, modificando l’intero orientamento – che sarebbe altrimenti abbastanza agiografico – scegliendo di chiudere il film con il vero dato di realtà che lo apre: il cimitero, che riporta a una morte non casuale ma premeditata da un uomo che non è stato fermato in nessun modo.
NÉ DALLO STATO, né dalla comunità cui Santa apparteneva. L’assassino, dopo dieci anni trascorsi in un ospedale psichiatrico, è stato liberato. E se Dio non ha responsabilità – perché a compiere quel gesto non è stato un male metafisico -, le istituzioni e un sistema legislativo insufficiente e poco integrato ne hanno parecchie; sono le stesse degli uomini che odiano le donne e che lo fanno da secoli perché la violenza maschile è un fenomeno strutturale.
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